Profumo di tè e cannella
Il profumo del tè alla cannella riempì l’aria umida di
pioggia, Melissa poggiò le tazze fumanti sul tavolino posto davanti al divano e
si mise a sedere. I suoi capelli ed i vestiti erano ancora bagnati a causa
dell’acquazzone che ci aveva sorpreso all’improvviso.
Prese la sua tazza stringendola tra le mani, la avvicinò al
viso per scaldarsi e ci soffiò su per freddarlo prima di cominciare a
sorseggiarlo. Poi si tolse le scarpe e poggiò i piedi sul tavolino, accogliendo
con un sorriso malizioso il mio sguardo, che seguì avidamente i suoi movimenti.
In silenzio, bevvi i solchi che correvano lungo la pianta del
suo piede, lasciai che la mia mente corresse lungo le ombre lievi che
disegnavano, cercando il fresco ristoro che bramava la mia bocca arsa dal caldo
arido di un lungo cammino.
I suoi piedi erano come piccole oasi in cui si perdevano i
miei pensieri, sulla loro pelle morbida potevo immaginare il sapore di arcani
piaceri, il mistero di una malia capace di soggiogarmi, di condurmi lungo il
baratro di un’estasi senza fine.
“Dei miei cosa ne pensi?” mi aveva chiesto quella sera, mostrandomi
il piede.
Sedevamo su una panchina del parco e non so come, forse a
causa della troppa birra bevuta al pub in cui avevamo trascorso la serata, le
avevo confessato la mia strana passione per i piedi, accennando anche al mio
desiderio di essere sottomesso.
Invece di risponderle mi chinai per baciarlo, ma lei non me
lo permise. Prima che riuscissi a ghermirlo, il suo piede si nascose nuovamente
nei sabot che calzava e Melissa mi tenne a bada rigirando il tacco sul mio
petto, con un tocco leggero che poco a poco cominciò a graffiarmi studiando le
mie reazioni e la mia docilità.
“Sei davvero strano” mi disse.
“Troppo per te?”.
“Quel tanto che basta per incuriosirmi”.
Melissa si lasciò cullare dal mio sguardo e dal mio
desiderio, lo accarezzò cercando di immaginarlo, di comprendere ciò che si
agitava dentro me.
“Inginocchiati”, sussurrò, con un tono di voce che voleva
essere deciso, ma che in realtà tradiva la sua timida incertezza.
Mi avvicinai lentamente, chinando il capo e respirando il
delicato aroma dei suoi piedi. Nei suoi occhi lessi il brivido che le procurò
il mio respiro e mi specchiai nel suo sguardo divertito e sorpreso nel vedermi
in ginocchio.
“E’ questo ciò che ti piace fare?”.
“A te?”.
“Non lo so… io sono semplicemente curiosa. Sta a te far sì
che risulti piacevole anche per me”.
Allungò il piede sul mio viso, facendolo scivolare con la
punta fino alla mia bocca. Io lo baciai, Melissa si morse un labbro e strinse
l’orlo della gonna accartocciandolo, trattenendo a stento un gemito di piacere
mentre le mie labbra si schiudevano sfiorandole la pianta. Potevo sentire il
calore della mia lingua raggiungerla, facendole provare l’ebbrezza di quel
potere assoluto.
Amavo sentirmi così, sentire di appartenerle, di essere
pronto a soddisfare qualsiasi suo desiderio, anche il più folle.
La pioggia aveva segnato i suoi piedi, ma lei non se ne
preoccupò, lasciò che li ripulissi, eccitandosi per la mia sottomissione.
Non ero certo che Melissa potesse comprendermi, ma conoscevo
bene la sua curiosità, il suo desiderio di sperimentare e di giocare.
La sentii abbandonarsi sempre di più a quel piacere, la
sentii ergersi sul mio desiderio di perdermi e farmi divorare, bruciando nella
passione che si impadroniva di me, soggiogandomi.
I suoi piedi divennero esigenti, capricciosi, si sottraevano
ai miei baci e calcavano il mio viso per poi riempire prepotentemente la mia
bocca. Era lei, ora, a condurre il gioco, impedendo ai miei baci di servirsi di
lei.
“Cos’altro faresti per me?”.
“Qualsiasi cosa”.
“Come uno schiavo, giusto?”.
“E’ quel che sono, il tuo schiavo”.
Melissa sorseggiò il suo tè, continuando ad osservarmi mentre
la mia lingua solcava la pelle delle morbide piante dei suoi piedi.
“Spiegami”.
“Cosa dovrei spiegarti?”.
“Cosa vuol dire che sei il mio schiavo” aggiunse, strofinando
un piede sul mio viso mentre lo respiravo avidamente.
“Vuol dire che ti appartengo, che riconosco in te la mia
Padrona e potrai disporre di me a tuo piacimento”.
“Tutto qui?”.
“Ti sembra poco?”.
“Nessuno mi ha mai baciato la scarpa o leccato i piedi come
hai fatto tu. Ma gli uomini sono sempre pronti a strisciare per una donna ed io
ne ho visti strisciare tanti per me, solo perché volevano scoparmi”.
Il mio tè, ormai tiepido, riposava ancora sul tavolino,
Melissa lo versò ed immerse i piedi in quel piccolo mare che si formò sul
pavimento.
“Qualunque cosa, giusto?”.
“Esatto” le risposi, leccando il tè dal pavimento.
Melissa sembrava calarsi sempre di più nel suo ruolo di
Padrona, il suo piede calcava il mio capo con decisione, mentre ripulivo il
pavimento leccando il tè. Lo sentivo fremere per il piacere che quel possesso
le procurava.
“Ti ho convinta?”.
“Scherzi? Farti leccare i piedi, le scarpe o addirittura il
pavimento, può essere divertente, ma non dimostra nulla… so benissimo che ti
eccita farlo”.
“E allora cosa…”.
“Spogliati!” mi intimò.
Melissa si accese una sigaretta e mi scrutò, mentre eseguivo
i suoi ordini, fissandomi con sguardo severo.
“Toccati!”.
“Cosa?”.
“Hai capito bene, voglio che ti tocchi. Sarai la mia mignotta
e ti toccherai per me”.
“Ma…”.
“Ma, cosa? Ti tiri già indietro? Non sei più il mio
schiavo?”.
“Sì, certo”.
“Allora muoviti! Voglio divertirmi a guardarti mentre ti
tocchi!”.
Con un po’ di imbarazzo, cominciai a masturbarmi, ma Melissa
mi interruppe subito, tallonandomi ripetutamente sul volto.
“Non così, buono a nulla! Non ti ho detto di fare lo sfigato
che si fa una sega davanti a un porno! Ora sei la mia mignotta e devi farmi
divertire ed eccitare, toccati e strusciati come si deve!”.
Cercai come potevo di soddisfare i desideri di Melissa e,
mentre lei mi incitava colpendomi col piede, mi accarezzai come in una
squallida pubblicità da hotline.
“Bravo, continua così” disse ridendo, divertendosi a
strusciare il piede sul mio viso, finché non cominciò anche lei a toccarsi,
godendo del ridicolo spettacolo che le stavo offrendo.
Poi si alzò e mi afferrò per i capelli.
“Vuoi che ti scopi?”.
“Sì”.
“Allora dillo!”.
“Voglio che mi scopi”.
“Come una mignotta? E‘ questo che sei? La mia mignotta?”.
“Sì, sono la tua mignotta, la tua cagna, scopami, ti prego”.
Solo quando sentii il suo dito trafiggermi insinuandosi tra
le mie natiche compresi il modo in cui intendeva scoparmi. Melissa sperimentò
il piacere di violarmi, un piacere che poco a poco coinvolse anche me, malgrado
lo stupore che accompagnò la mia eccitazione, mi abbandonai ad essa, sentendomi
appagato da quel possesso che andava ben oltre la mia immaginazione. Ero suo,
più di quanto mi sarei aspettato, più di quanto lei credesse o desiderasse.