SUI RUOLI
Nella scena BDSM ricorrono invariabilmente alcuni temi assai discussi. Uno
tra essi riguarda i limiti, ovvero cosa si possa far rientrare nel gioco e cosa
no, tanto in termini di intensità quanto di preciso
scenario/situazione/disciplina. Ancora, non è raro trovare discussioni su cosa
renda “vero” o “finto” un rapporto di dominazione, con infinite controversia
sull’essere un “vero” Dom o sub.Queste e molte simili discussioni nascono, a
mio parere, da un basilare quanto comune fraintendimento sulla natura stessa di
un rapporto BDSM. Natura che è essenzialmente proiettiva e relazionale. Ciò che origina
incomprensioni è dunque il considerare, in buona o cattiva fede, la natura di
una relazione BDSM quale reale e identitaria.Prima che si alzino grida furenti al tono di “vorresti dire che il mio
rapporto BDSM non è vero? O che io non ho una identità Dominante?” mi affretto
a precisare che i termini reale e identitario vanno considerati in relazione e opposizione aproiettivo e relazionale, e non di per sé.
Forse questo non è chiaro per ora, ma andiamo per gradi, ci si arriverà.
PERCHE’ IL BDSM è UN VISSUTO PROIETTIVO E NON REALE
Il BDSM è uno scenario immaginifico in cui si "rubano" schemi di
relazione da altri e completamente differenti contesti per farne un uso erotico-esplorativo.
Fatto sta che gli schemi che permettono queste esperienze sono, per
definizione, in violazione dei diritti umani (la schiavitù e i suoi simboli),
delle forme di relazione socialmente codificate (abusi e violenze emotive,
poliamoria, cuckoldismo), delle dignità generiche e specifiche degli individui
e dei generi (violenze sessuali, riduzione a ruolo di animale, umiliazioni di
genere), delle forme di deontologia e professionalità di ogni genere, (uso
invasivo e volutamente doloroso o fastidioso o umiliante di strumentazione
medica, ad esempio), e ovviamente l'elenco potrebbe andare avanti
all'infinito.Tutti gli scenari da cui traiamo le ispirazioni per i nostri
momenti erotici kinky sono, in un modo o in un altro, violazioni di qualche regola
di decoro, buonsenso, vivere civile, etc. Il fatto che ce lo permettiamo in
ambito BDSM è una sorta di licenza esplorativa, in cui cerchiamo di vivere le
emozioni relative alla violazione senza tutto il bagaglio accessorio che nelle
sue forme originali comporta.
Forse che sia una bella esperienza venire violentati? O essere umiliati in
modo costante e quotidiano dal proprio partner? O subire esami medici inutili e
dolorosi? O venire frustati, legati e imbavagliati? La malasanità non è certo
una cosa arrapante, ma chi pratica medical non sta violando la dignità o la
salute del sub cui infila aghi dappertutto o impone un clistere, o una
dilatazione inutile e dolorosa.Certo che sono situazioni dolorose e
inaccettabili di per sé, nelle loro forme originarie. Le ricreiamo proprio
perché ci arrapa viverne questo “dolore” imponendolo o subendolo, in forma
simbolica.
Prendiamo un esempio molto pericoloso: la pedofilia. Siamo tutti d’accordo
(spero) che non solo è un reato, ma che in generale fare sesso con un bambino
sia un atto grave, che viola la fiducia di un innocente e rischia di segnarlo a
vita a livello psicologico, oltre a qualsiasi danno fisico. Ma quel che si
chiama ageplay? Quando un adulto si veste da bambino e un altro adulto gliene
combina di ogni, non si sta forse simulando la pedofilia? Questo vuol dire che
chi lo pratica e ne è eccitato è un coglione o un criminale? Forse un pedofilo
in erba che attende il suo turno per scatenarsi sui bimbi del vicinato?Tutto il
BDSM vive di simboli per definizione “sbagliati”: noi tutti giochiamo con cose
simbolicamente pericolose. Per questo chi lo pratica dovrebbe sforzarsi di
avere un grande livello di onestà con se stesso, i suoi desideri e ciò che
combina.In questo risiede l’essere “adulti e responsabili” nel fare BDSM.
Ci sono persone eccitate dal vivere le emozioni simboliche di una
violazione di alcuni codici e altre attratte dal violare codici differenti. C'è
chi si arrapa con lo scat e chi con i pannoloni, chi con le fruste e chi con
divise naziste.Il motivo per cui il BDSM dovrebbe essere un luogo per soli
adulti responsabili e dotati di buonsenso è proprio questo: qui si esplorano,
in modo simbolico ma profondo ed efficace, i territori vietati. La capacità di
dosarsi consiste nel trovare il limite per cui una scena rimane una
esplorazione simbolica per quanto intensa e verosimile e non diventa una forma
di violenza o abuso – che riassumiamo in modo molto generico con il termine
SSC. Così si può vivere una situazione di stupro di gruppo MOLTO simile ad un vero
stupro di gruppo con tutte le emozioni ad essa connesse SENZA che si stia
commettendo davvero uno stupro. Allo stesso modo, c’è chi può desiderare di
vivere l’emozione di violare il tabù di simboli e scenari di tipo politico o
religioso. Se sa farlo senza rifondare il partito nazista o bruciare streghe
sul rogo, ha la stessa valenza e non meno buon gusto di chi si eccita a
simulare uno stupro o frustare un culo a sangue o giocare con la popo’. Il
limite non sta certo nel dire sì alla cacca in bocca e no alla divisa da SS:
sta nel saper esprimere e condividere in modo adulto e responsabile le proprie passioni fetish senza andare a
giudicare quelle che arrapano gli altri.
PERCHE’ I RUOLI SONO RELAZIONALI E NON IDENTITARI
E’ ormai qualche annetto che mi trovo spesso a ripeterlo: I ruoli sono
funzioni di relazione, non modelli identitari a sé stanti. Affermazione che
inevitabilmente mi porta addosso strali di indignazione. Del resto è
inevitabile: chi vive un ruolo BDSM come modello identitario percepisce questa
affermazione come un attacco diretto, ed è naturale che vi opponga una fiera
resistenza.Vediamo se mi riesce di spiegare il perché, io li ritenga tali.
Dominare, è un verbo che implica che qualcuno (o qualcosa) domini su
qualcun altro (o qualcosa). Non si può “dominare e basta”, è – semplicemente –
pragmaticamente privo di senso. Stessa cosa vale per sottomettersi: qualcuno si
sottomette a qualcun altro. Fin qui, non penso che ci siano problemi di
comprensione.Quando si entra nell’ambito BDSM però, spesso si semplifica
affermando con scioltezza “io sono un/a Dom (Master/Mistress, Padrone/a,
Maestro/a etc)” oppure “io sono un/a sub (slave, schiavo/a, sottomesso, kajira,
etc)”. Affermazioni che, semanticamente, sono incomplete. Non si può essere un
Dom senza qualcuno che si sottometta a te. Non puoi essere un sottomesso senza
qualcuno che ti domini. Questa è la natura relazionale dei ruoli nella sua
nudità. Quando si afferma di essere un Dom o un sub quale modello identitario,
si entra in una comunicazione patologica.Vediamo come e perché succeda.
Una comunicazione inevitabilmente setta dei parametri. Che i coinvolti ne siano consapevoli o meno, che ne
conoscano i meccanismi e i passaggi o li ignorino del tutto, non cambia nulla:
la comunicazione comunque setta dei parametri. Dire a qualcuno “sai che ore
sono” non dice solo quel che appare a livello oggetto, e cioè “vorrei che mi
dicessi che ore sono”. Setta anche una moltitudine di altri e invisibili
parametri, che di fatto decidono tutto: dalla
realtà in cui viviamo a chi siamo. Per dare una idea molto banale, la frase
citata setta tra molti altri un parametro di relazione proposto da chi fa la domanda a chi la riceve, che dice “ritengo di essere in
diritto di domandarti che ore sono”. E’ il motivo per cui questa domanda la si
fa ad un passante ma non la si fa al Papa, anche se ha l’orologio in bella
vista e noi abbiamo urgenza di sapere che ore sono. E se la si fa al papa,si è
perfettamente coscienti che non sia sta solo chiedendo che ore sono. Si sta anche
dicendo: “me ne sbatto che tu sia il Papa.”
Allo stesso modo, affermare “sono un Dom” oppure “sono un sub” setta dei
parametri. Il problema è che setta dei parametri assurdi. Mi limiterò a
specificare dettagli molto, molto semplici come esempio. Anzitutto, questa
frase afferma: “io domino”, ma non afferma chi, o cosa domino. Come dovrebbe
reagire un interlocutore a questa affermazione? Ti darà una pacca sulla spalla
dicendo, cavoli, complimenti!, oppure ti domanderà: ah sì? E chi o cosa,
domini, di grazia? Se non si specifica chi, o cosa, e in che precise condizioni
io dichiaro di dominare, allora sto affermando che io domino tutto quanto, in
ogni modo e momento. Andando oltre, visto che la frase è rivolta ad un
interlocutore, diventa implicito che se “io domino” l’universo tout court,
allora io domino anche te. Il che è quantomeno grottesco: mi presento dicendo
che ti domino, per partito preso, quando
neppure mi conosci o io conosco te? Ovviamente la risposta ideale sarebbe:
“perfetto, io mi sottometto” – ed è esattamente l’incontro ideale che chi
frequenta ambienti BDSM sembra sognare. Peccato che, di nuovo, si stia parlando
di nulla: due persone che non si conoscono non possono né dominare né
sottomettersi visto che di fatto non c’è alcune forma di relazione tra di loro.
Sarebbe come se due sconosciuti si presentassero dicendo: “salve, io sono un
ottimo amico” e “caspita che bello, anche io sono un ottimo amico” e
pretendessero, dall’istante successivo, di essere tra loro ottimi amici.
Qualsiasi interazione che si basi su simili premesse è, necessariamente, un
gioco di ruoli totalmente sganciato da un piano di reale interazione: i ruoli
giocano da soli, in astratto. Calandosi in una realtà concreta, che so una
festa di gioco BDSM tra sconosciuti, quel che risulta è una recita, o anche,
dicendolo in modo meno simpatico, una farsa.
Quando però due persone si incontrano e comunicano, e comunicando
dimostrano un interesse reciproco in cui uno dei due assume una posizione
sottomessa e l’altro una posizione dominante, ecco che diventa reale la possibilità di costruire una relazione BDSM. Ma i ruoli non
partono come modelli identitari a sé stanti: iniziano a configurarsi dal
momento in cui inizia una comunicazione, e si sviluppano e realizzano passo dopo passo man mano che i coinvolti li strutturano
reciprocamente. Ecco quindi come mai il ruolo esiste soloin una relazione ed anche perché, quando e dove la relazione si interrompe,
quel ruolo di fatto scompare con essa.
Ecco perché il ruolo è quindi relazionale nella sua natura sia a partire
dalla semantica che gli è propria fino alle sue conseguenze pragmatiche, cioè
al suo divenire reale (o, in termini appropriati per chi
studia metacomunicazione,esecutivo).
Per chi ancora avesse dubbi di comprensione, facciamo un esempio molto
semplice. Si pensi alla parola “moglie”. Una persona non può essere “una
moglie” senza essere sposata con qualcuno. Può desiderare la vita matrimoniale,
o aspirarvi, può ritenere che sarebbe una ottima o pessima moglie, ma non può
esserlo finché non si sposa. Quindi, anzitutto, finché è nubile non ha alcun
senso che si presenti a qualcun altro dicendo: “salve, io sono una moglie”.Ma
anche quando si fosse sposata, questa presentazione sarebbe di per sé assurda.
Diventa sensata quando viene formulata in modo completo: “salve, sono la moglie
di Pippo.”Ancora, quando e dove la donna in questione divorzi da Pippo, non
avrà di nuovo senso presentarsi come “una moglie”. Potrà essere “l’ex moglie di
Pippo”, o semplicemente “una donna che è stata sposata”.Si fosse sposata anche
con centomila uomini diversi, comunque non avrebbe alcun senso che si
presentasse come “una moglie”, ma sempre e comunque come “la moglie di Pippo,
Gianni, Pinotto, Cuccuzzo, Bartolomeo…”Ciò per il semplice motivo che il
termine “moglie”, come il termine “schiava/o” o come il termine “Padrona/e”
sono termini relazionali e NON
identitari.Questo significa forse che fare la moglie sia una finzione, o
qualcosa che non possiamo considerare vero? Affatto: significa che questa
funzione di relazione è valida e reale SOLO all’interno di una relazione, e non
al di fuori di essa. E’ se vogliamo una espressione vera, verissima di noi che
trova spazio SOLO in termini relazionali.
LE COSE BUFFE
Per chi ha avuto lo stomaco di leggere quanto scritto sopra, diventerà
palese che cosa trovo tanto – ma tanto – buffo nel leggere affermazioni quali:
“sono un Padrone” o “sono una schiava”, e nelle discussioni su chi sia un
“vero” o un “finto” padrone/schiavo. Ancora, è tenero al limite del grottesco
leggere le manifestazioni di atteggiamenti BDSM relazionali mostrati in ambiti
sociali, dove chi vive in una relazione specifica un dato ruolo
assume comportamenti propri di quel ruolo al di fuori della relazione data, ad esempio nel parlare con
sconosciuti, o anche conoscenti con cui però quella relazione non è in atto.Per capirci, il comportamento di chi essendo in un ambiente BDSM, dà per
scontato che il ruolo che vive nelle sue relazioni personali debba avere un
impatto e un riconoscimento anche presso perfetti sconosciuti o persone con cui
tale relazione non è in atto.
Se io ho una relazione con Ciccia e Ciccia è di comune nostro accordo la
mia schiava e deve darmi del lei, questa faccenda è reale tra me e lei, per tutti gli altri esseri del pianeta non è affatto
reale,è un nostro gioco in cui loro non
partecipano né sono tenuti a legittimarne le regole. Per cui siamo io e lei
degli arroganti se pretendiamo che le persone non si mettano a ridere, o si
indignino, o ci prendano per imbecilli se giochiamo le nostre regole di relazione davanti a loro.
All’interno della scena BDSM si tende a garantire un certo rispetto per
queste specifiche manifestazioni che miscelano aspetti relazionali con aspetti
sociali, ma rimane una etichetta e non una garanzia di legittimità. Confondere
le due cose è, quantomeno, sintomo di ingenuità.
Non a caso, una forma con cui si “gioca” su questo margine è l’ironia.
Battute del tipo “sì ma io mica posso criticare il mio Padrone” o “no no,
chiedi a lei, io faccio quel che vuole lei” sono simpatiche e persino
intriganti quando appunto velano un tono ironico, che sottende la forzatura di
una comunicazione “sociale” con delle regole relazionali “private”. Quando
invece diventano affermazioni perentorie o richieste di adeguamento ad una etichetta
relazionale nei confronti di chi in tale relazione non è parte in causa diventano contemporaneamente arroganti e
ridicole, quanto lo sarebbe la pretesa di un bambino che, poiché gioca con un
amico ad essere invisibile, pretenda di essere invisibile per chi gli sta
attorno anche se non sta giocando con lui.
In soldoni, per chi vive una relazione BDSM è reale essere un Dom o un sub nella relazione e con chi in quella relazione svolge un ruolo. Fuori di essa o con
chi non ne fa parte, atteggiamenti e dichiarazioni propri del ruolo sono alla
meglio battute simpatiche e alla peggio forzature ridicole.
Stefano Re ©