martedì 29 settembre 2015

Master/slave una relazione umana
Proposte per una rilettura
by Franco Aletes
2014
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Nudo, indifeso, con gli occhi chiusi, ma saldamente aggrappato alle spalle del suo Master, lo slave si lascia trasportare fiducioso lungo un itinerario di sottomissione, lo porterà ad appartenere al suo Master, ad essere unito a lui, a ricevere la sua stessa dignità. Il Master regge il peso di entrambi, attraversa la bassa nebbia puntando senza deviazioni alla sua meta: l’intima unità del possedere e dell’appartenere. Per il suo schiavo egli non risparmia tenerezza e forza, i suoi occhi controllano e dirigono, ma anche parlano e amano. Da due che erano, convergono nell’unità, ma senza rinunciare a nulla di se stessi, anzi conservando e valorizzando le reciproche ricchezze e le opposte caratteristiche.
Questa foto sintetizza il contenuto dello scritto: "Master/slave, una relazione umana” che, sin dal titolo, tenta di superare miti e stereotipi diffusi. Questo tipo di relazione non è un fatto semplicemente folcloristico, né un affare per l’industria del sesso, né un rapporto patologico o immaturo. La relazione Master/slave, invece, è sana e soddisfacente, contiene in sé tutte le possibilità di arricchimento ed evoluzione umana. Un lifestyle che può dare senso ad una vita che sia aperta all’evoluzione della persona e che esplori in sicurezza tutte le facce, torbide o luminose, dell’amore.
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Consensualità e apertura relazionale: l'habitat della relazione Master/slave Forme di cui si sente talvolta sui media, oppure che ci sono state nella storia, e la cui chiave di lettura è la violenza o la patologia, non appartengono all'universo della relazione Master/slave, la quale è presente soltanto all'interno del rispetto dei diritti umani. Agire all'interno di essi, non vuol dire trasformare Master e slave in commedianti, signifca piuttosto riconoscere che la loro relazione è un'adesione corpo e mente al proprio ruolo, assunto in modo volontario, creativo e anche impegnativo. Signifca riconoscere che il rapporto dominante e sottomesso non è raccontato da quelle forme brutali, come non è nemmeno messo in luce dai giochi con attrezzi e sex toys, ma che appartiene invece al mondo delle relazioni dell'uomo, e trae origine e rimane in un quadro di solidarietà umana. Tra quelle due aree che abbiamo respinto entrambe: quella della tortura e quella di giocare senza coinvolgere nulla oltre al sesso fsico, abbiamo affermato la bellezza e la capacità della relazione Master/slave di conquistarsi un proprio spazio. Uno spazio dove c'è sicurezza e responsabilità e perciò si evita la violenza, e anche dove la persona è provocata e intrigata nella sua totalità di corpo-mente e perciò si va oltre il rapporto meramente sessuale. Questo habitat è generato da due condizioni: la consensualità, e la relazionalità «che rischia», cioè quella di chi è libero e perciò si apre a rischiare oltre la ritualità per raggiungere l'intimità di un «noi», non paritario, ma pur sempre un'unità relazionale. Ed è soltanto in questo spazio conquistato che la dinamica fra dominante e sottomesso può attivarsi. Infatti non c'è nessuna dinamica, laddove vi sia terrore da parte di uno e violenza ottusa da parte dell'altro. Altrettanto, non c'è relazionalità seria e intima, laddove ci sia un puro gioco per fare sesso, anche hard, fnito il quale si ritorna ad essere lontani come si era prima. Come i muri di una casa delimitano, ma anche mantengono lo spazio che consente la funzione per la quale fu costruita, così consensualità e apertura relazionale sono i limiti, ma soprattutto le strutture portanti, sulle quali la dinamica dominanza/sottomissione può esistere e crescere. È mediante quei due prerequisiti, dal Master ogni volta ri-creati e ri-conquistati, che può compiersi tutto il training  psicologico e fsico, che lo schiavo sarà chiamato a percorrere e il Master a gestire, e in questo modo generando i frutti dell'intimo possesso e della consapevole appartenenza.