- MF & BDSM: Topping from the bottom Di Stefano Re, Martedì 2 settembre 2014 alle ore 19.28 Un aspetto del vissuto BDSM in cui il MF risulta assai prezioso è, a mio vedere, il classico dilemma del topping from the bottom. Premesso che il rapporto BDSM è un rapporto speculare, in cui il sub influenza il Dom tanto quanto il Dom influenza il sub, può risultare complicato capire e gestire il fatto che chi vive il ruolo sottomesso abbia, di fatto, altrettanto potere sulla relazione di chi vive il ruolo Dominante. Per capire questo dilemma prendiamo un esempio semplice: abbiamo una coppia Dom/sub, in cui il sub desidera venire calpestato. Vediamo alcune possibili forme di influenza del sub verso il Dom: - chiede di essere calpestato - implora di essere calpestato - confessa di trovare eccitante l’idea di essere calpestato - regala al Dom delle scarpe con un biglietto con su scritto: “un sogno su di me” Sono evidentemente forme man mano più raffinate di esprimere la propria influenza, ma di fatto ciascuna di esse si equivale nella dinamica in corso. Poniamo il caso in cui il Dom abbia effettivamente voglia di calpestare il sub, ecco che si troverà di fonte a queste possibili reazioni: - calpestare il sub (attua la propria volontà, ma sta ubbidendo al sub) - non calpestare il sub (nega la propria volontà, reagendo ad un comando del sub) Come se ne esce dunque? Ecco un esempio di Mf applicato a questa situazione: il Dom risponde: “Ti piacerebbe, eh?” Sembra una sciocchezza, ma ecco che cosa attua: - dimostra al sub di aver compreso appieno il suo desiderio/tentativo di influenza - dimostra al sub che è in grado di gestirlo - riassume il controllo della situazione Che poi lo calpesti, non lo calpesti, gli faccia sembrare che sta per calpestarlo per poi non farlo e ridere della sua eccitazione, lo costringa a subire altre cose che non gradisce e come premio lo calpesti alla fine, queste sono solo strutturazioni successive, che *prive* della affermazione di ripresa di controllo non avrebbero avuto lo stesso significato. Con una semplice frase, il Dom ristabilisce il controllo sulla gestione degli eventi, affermando che è lui a controllare quel che avviene. Ovviamente questo esempio è ridotto all’osso e può venire interpretato e sviluppato in mille altri modi, lo ho esposto per cercare di focalizzare l’attenzione sul ruolo di *svolta* che una semplice affermazione impone ad una dinamica in corso, cambiandone il senso. In termini più complessi e articolati, il ruolo del Dom è sempre un ruolo molto delicato: deve comandare ma lo può fare solo per concessione del sub; deve dominare ma non può uscire da un seminato di base; deve imporre la propria volontà al sub, offrendo e vivendo l’emozione di questa imposizione, ma non può né esagerare (uscendo dai limiti) né andarci troppo leggero (risultando incapace di stimolare il sub). Proprio questa condizione paradossale rende il ruolo Dom una sfida notevole per chi lo vive. Che poi si renda conto di tutti i meccanismi in gioco o vada a istinto facendo un po’ quel che gli gira per la testa, il meccanismo non cambia granché: cambia solo il suo livello di controllo su di esso. Ovviamente, puoi controllare ciò che conosci, non puoi controllare ciò che non conosci. Stefano Re ©201
- MF, domande e risposte #1 Di Stefano Re, Sabato 22 giugno 2013 alle ore 0.46 Traduco dall'inglese uno scambio avuto in altra sede, in cui mi venivano poste alcune domande sul MF che forse a qualcuno interessa approfondire anche qui.SR Cosa, se qualcosa, distingue il Mindfucking da un gioco attuato con intenti malvagi? Come stabilisci il confine? Non vedo reali confini – come in ogni altro campo di interazione umana. La malvagità è ciò che definiamo tale. Nella mia ottica, la patologia inizia con la dipendenza. Finché ciò che viviamo non comporta dipendenza per nessuno dei coinvolti, non c’è reale pericolo. Ritieni che l’amicizia, lo stare insieme, l’amore, siano veicoli corretti per stabilire fiducia e cercare vulnerabilità? Le vulnerabilità non sono qualcosa che cercano gli altri, sono qualcosa che offriamo noi. Scegliere come fare questa offerta, a chi, è il punto. Ovviamente, chi non è consapevole delle proprie debolezze attrae chi le cerca e quel che ne risulta sono queste perverse, intossicanti e patologiche relazioni abusive che vorremmo evitare. Ci sono differenze tra il Mindfucking e i giochi mentali (come il bisogno di un sociopatico di umiliare o un narcisista in cerca di conferme?) Proprio no. E’ solo la percezione del processo che cambia. Quando è sano, il MF è una esplorazione di noi stessi attraverso percorsi contorti e pericolosi. Quando è malato, è costruire uno scambio reciproco di inadeguatezze incrociate. Quando il Mf è sano? Quali sono i requisiti minimi perché sia considerabile tale? Ok, secondo me il Mf è sano quando: a) Vi è piena comprensione dei processi in tutte le persone coinvolte b) Non ha alcun altro fine che non sia sperimentare questo percorso c) Ha fondamenta su un rapporto d’amore Esplodendo questi punti al minimo livello accettabile: a) Quando dico “piena comprensione dei processi” intendo che essi vengono spiegati, discussi, verificati prima, durante e dopo l’esperienza. E che viene garantito un lasso di tempo per analizzare e approfondire ogni emozione e percezione che hanno comportato prima di procedere oltre. Questa consapevolezza include lo studio dei percorsi, delle procedure e dei trucchi attuati durante l’esperienza, una discussione su questi fattori e sui loro effetti, e una adeguata considerazione delle diverse conseguenze che possono comportare. b) non avere altro fine significa che non c’è alcuna altra finalità – il che non significa solo venderti un aspirapolvere o convincerti a fare donazioni ad una chiesa ma anche nessuna finalità come “aiutarti col tuo problema” o “curare i tuoi attacchi di panico” o anche soltanto “aiutarti a evolvere e ad accettare te stessa” è ovvio che questi effetti sono sperabili e desiderabili, ma NON devono essere il motivo per cui si fa MF. Perché ci sia la possibilità che abbiano luogo, infatti, essi devono “emergere” come risultati individuali. Mirare ad essi significa condizionare il processo e di conseguenza spingerlo in una direzione. Tutti gli sballottamenti propri di una esperienza di MF devono coinvolgere le menti di chi vi partecipa SENZA un “punto di arrivo”, una finalità prefissata da qualcuno. c) L’amore è la rete di sicurezza. Trovarsi in una relazione amorosa implica che non è solo sesso, non è solo l’emozione dell’esperienza, non è un gioco a breve termine l’unico elemento nel cesto. Significa che chi vi è coinvolto desidera che la relazione duri, che sia possibile costruire assieme qualcosa di stabile. E che ciascuno tiene al benessere dell’altro persino aldilà della stessa relazione in corso. Va da sé che una persona malata convertirebbe tutti questi elementi in una versione malata degli stessi: questo è un rischio sempre presente. Del resto, le persone malate attraggono e trattengono presso di sé altre persone malate in modo complementare. E, sì: siamo tutti un po’ malati, in una certa misura. Fa parte della natura contraddittoria dell’essere umano. Trovare un equilibrio, gestirlo nei suoi mutamenti, alla fine è l’unica cosa davvero importante da fare nel corso di una vita-
- SETTING Le persone, quando comunicano tra loro, inevitabilmente creano quelli che si chiamano “setting di relazione”. I setting altro non sono che “schemi di comportamento prevedibile”, diciamo. Un setting non è soltanto quello che si crea in una coppia sposata da vent’anni riguardo, che ne so, chi lavi i piatti o chi tagli la legna: è anche quello che si crea quando domandi ad un passante una indicazione stradale. Facendola più semplice possibile, un setting dice “io e te siamo in questo genere di relazione - io faccio questo e mi aspetto che tu faccia quest’altro”. Come tutti i meccanismi di metacomunicazione, viene a realizzarsi con o senza consapevolezza dei partecipanti, che lo vogliano oppure no: è semplicemente inevitabile che accada. E come tutti gli elementi di metacomunicazione, *decide* aspetti della comunicazione, che lo si voglia oppure no. PAESE CHE VAI In ogni tipo di cultura e di vita associata vengono a crearsi dei setting relazionali di tipo condiviso, diciamo dei setting “preconfezionati” in forma più o meno precisa. Servono per evitare alle persone di negoziare in ogni occasione i propri comportamenti, di spiegarne e cercarne legittimazione reciproca. Ad esempio, servono perché sia sottinteso che relazione stiamo stabilendo e che cosa ci aspettiamo quando chiediamo una indicazione ad un passante. Si noti che cambiando le culture, anche di poco, alcuni setting possono cambiare in modo radicale: un giorno, a Norimberga, una amica ha bussato alla porta del vicino di casa dicendogli che era rimasta senza zucchero. Il vicino, molto gentilmente, le ha indicato il negozio in cui poteva comperarlo. Lei, un po’ imbarazzata, gli ha fatto notare che a quell’ora era chiuso. Il vicino, anch’egli imbarazzato, le ha spiegato che era necessario andarci negli orari di apertura. In Italia, il comportamento della mia amica sarebbe rientrato in un setting relazionale di “normale richiesta di assistenza tra vicini di casa” e quello del vicino sarebbe stato percepito come un rifiuto di aiutare oppure un essere un po’ matti. A Norimberga invece, il comportamento della mia amica è sembrato invadente, incomprensibile e un po’ folle e quello del vicino logico e coerente: a Norimberga non è diffuso il setting relazionale su cui la mia amica stava facendo affidamento. Ovviamente, anche quando indovinano la cultura di riferimento, ci sono persone che fanno minore o maggiore affidamento ai setting “preconfezionati” nelle loro forme di comunicazione. Definiamo ad esempio anticonformista una persona che tenda a infrangere le forme di setting più comuni e diffuse. Alcuni amano queste forme di originalità, altri le trovano disprezzabili: dipende sempre da quanto ci sentiamo “sicuri e soddisfatti” proprio dai setting che caratterizzano la nostra cultura. FACCIAMO GLI ORIGINALI Ultima notazione introduttiva: i setting relazionali si creano sempre e comunque in ogni genere di comunicazione: sia che seguiamo binari predefiniti sia che ne inventiamo di totalmente nuovi e inauditi. Se ad esempio a chi ci domanda “come va?” rispondiamo “fatti i cazzi tuoi”, oppure “perché lo domandi quando non ti interessa affatto?” non stiamo solo *uscendo* da un certo genere di setting preconfezionato, stiamo *creandone* uno nuovo e personalizzato. Insomma, stiamo comunque proponendo all’interlocutore un nuovo setting che dice “con me il setting del *come va* non funziona, partecipi a crearne uno diverso?” BDSM e SETTING Ora, il rapporto BDSM ovviamente ha i suoi setting. Ne ha di preconfezionati, diffusi e noti e ne ha di originali, specifici e improvvisati. I rituali, che siano basati su etichette tradizionali di qualsiasi genere o che siano inventati dai partecipanti di sana pianta, ad altro non servono che a *rafforzare* le forme di relazione in atto. Così chi vive una relazione BDSM potrà trovare piacevole adeguarsi ad un setting che ricorda, che ne so, le forme di comunicazione tra maggiordomo e padrone di casa, o tra carceriere e detenuto, o qualsiasi altro setting predefinito in cui una figura mostrava potere su di un’altra. Nello specifico, il trovare più o meno gratificanti i rituali corrisponde alla specifica modalità con cui una persona vive il proprio rapporto BDSM. Per alcune persone, o in alcuni specifici rapporti, un rituale può sembrare molto coinvolgente e dunque funzionale ad un maggiore godimento di quella esperienza. Per altre persone, o in altri rapporti specifici, un rituale può apparire troppo poco “realistico” e dunque diminuire, anziché arricchire, il potenziale emotivo dell’esperienza che si sta vivendo. Per questo è totalmente personale se un rituale sia o meno “adeguato”: lo stesso insieme di gesti, aspettative e reazioni può essere per alcune persone, o in certe situazioni specifiche, opposto nei suoi risultati. RITUALI e PROIEZIONI Questo è ancora più evidente nel considerare come il rapporto BDSM sia necessariamente un rapporto “proiettivo” e non “reale”. Senza inerpicarsi qui a mostrare come *qualsiasi rapporto* sia di fatto un rapporto simbolico (nessun comportamento ha un codice innato: tutto viene interpretato e dunque a tutto viene fornito un significato da chi osserva) in particolare il rapporto BDSM vive di rappresentazioni prese a noleggio altrove, in cui vivere emozioni altrimenti accompagnate da elementi davvero indesiderati. Vivere insomma l’emozione di venire schiavizzati o schiavizzare senza però essere davvero degli schiavi o dei proprietari di schiavi del tardo impero romano, o le emozioni del subire/far subire uno stupro di gruppo senza che però sia davvero uno stupro di gruppo. Questa caratteristica proiettiva del rapporto BDSM rende il ruolo dei rituali assai più incisivo, sia quando funzionano, e quindi rendono “più reale” quel che si vive, sia quando non funzionano, e di fatto “svelano” in modo troppo chiaro l’aspetto proiettivo, togliendo quindi l’emozione del “verosimile”. Ecco perché alcune persone, in base alle loro esperienze e situazioni personali, troveranno i rituali “aspetti essenziali” e altre persone li troveranno “farse ridicole”. Stefano Re ©2014
- BDSM e SESSO Stefano Re©2014 Chissà perché, quando si parla di sesso e BDSM si fa sempre confusione tra piani del tutto diversi. Teoria e pratica, definizioni e vissuto personale, condivisione di esperienze e modi di viverle e regole di definizione - e via dicendo. Vediamo se, muovendoci per punti, riusciamo a fare un poco di chiarezza: a) Il BDSM è palesemente legato e originato da una pulsione erotica. Che poi, per sua natura (non a caso è definito *perverso*) possa svolgersi e trovare vette emozionali, e pieno soddisfacimento dei coinvolti, proprio nel *negare* non solo soddisfazione ma persino ogni aspetto anche solo vagamente sessuale, non cambia il fatto che origini da una pulsione erotica. Per cui è corretto tanto dire che "il BDSM è tutto quanto sesso" quanto il dire che nel BDSM può "non esserci nemmeno una traccia di sesso". b) Il fatto di lasciare totalmente alla volontà del Dom la misura di un coinvolgimento o una stimolazione erotica, di qualsiasi tipo sia, è *di per sé* fonte di piacere per il sub. Cerchiamo di capirci bene su questo: per il sub è eccitante ciò che *non gli piace*, e per questo, ovviamente, *gli piace* (anche per il Dom vale questa dinamica, ma in modo più sottile e non lo approfondirò qui sennò si fa troppa confusione). Che poi razionalizziamo in ogni modo per affermare che in realtà *ci piace un casino* venire frustati / umiliati / sottomessi / trattati come pezze da piedi eccetera eccetera, non cambia di una virgola il fatto che sono tutte attività che *non ci piace subire*. Proprio questo paradosso è, se vogliamo, il senso del vissuto BDSM. c) Che da una negazione di soddisfazione/stimolazione/coinvolgimento erotico possa evolvere e *nobilitarsi* un rapporto di simbiosi di tipo amoroso non è nulla di sorprendente né di nuovo: l'amor cortese idealizzato nella letteratura trobadorica era esattamente questo. Una adorazione incondizionata che sublimava ogni desiderio carnale in una forma di devozione quasi mistica. Quello che lo distingue dall'amore del sub "in negazione sessuale" è che per quest'ultimo il desiderio erotico permane, non viene negato ma al contrario, di solito viene stimolato *proprio* per aumentare la "sofferenza" che ne deriva - sofferenza che appunto diventa passione e si incanala in una forma di devozione assoluta. d) I motivi per cui nel Maledom il sesso è assai più frequente che nel Femdom sono ovviamente collegati alle differenze di genere. A partire dalla biologia (l'urgenza periodica di eiaculare nel maschio è una necessità fisiologica, che tenta di avere luogo persino quando il proprietario del pisello in questione si oppone attivamente ad essa, tanto per dirne una delle più evidenti) fino ai millemila risvolti psicologici e culturali, che sono ovviamente strettamente collegati tra loro. Per dire: una dinamica culturale tipica dei paesi mediterranei (in termini statistici eh, che poi ciascuno fa caso a sé) che distingue i generi, ad esempio, è la differente reazione al rifiuto sessuale. Per il maschio è sovente percepita come una sfida, un alzare il prezzo, e dunque in sostanza un alzare il livello di interesse (siamo usciti, è stata molto carina tutta sera ma ha declinato gentilmente l'invito a salire: torno a casa con l'erezione di un toro e mille idee su come sedurla alla prossima occasione). Per la femmina è sovente percepita come una forma di squalificazione, e genera più facilmente un rifiuto di ulteriori contatti o tentativi (siamo usciti, è stato carino tutta sera ma ha declinato gentilmente l'invito a salire, evidentemente non gli piaccio / mi considera una amica). e) Riguardo all'annoso (e direi ormai barboso) tornare sulle etichette, sulle definizioni e su quanto siano importanti, mi sembra che l'unica cosa sensata da dire sia sempre la stessa: le categorie (leggi: "cos'è uno schiavo") sono soltanto strumenti utili per descrivere e comunicare ciò che viviamo. Sono loro ad esserci utili, le usiamo per descrivere cose *simili* ma mai identiche, perché siamo tutti diversi e così sono diverse le forme di relazione che ciascuno vive. Non siamo noi a doverci adattare ad esse per essere "veri", sono loro che devono adattarsi a noi per essere "vere".
- MF E PSICOTERAPIA Ci sono sempre modi diversi per dire al stessa cosa. "Deve essere matto per agire così" - oppure "Deve essere molto coraggioso per agire così". Medesima situazione, differenti descrizioni, differenti percezioni. Ciascuno di noi fonda la propria esistenza su due percezioni: se stesso e la realtà.Il MF è il processo di modificazione guidata di queste due percezioni. La Psicoterapia può venire descritta nello stesso identico modo. Ma vi sono alcune, importanti, distinzioni. Qualcuno potrebbe descrivere uno psicoterapeuta come una persona con la testa piena di strumenti affilati. Quello che un terapeuta fa è usare questi strumenti per infilarsi nella mente del paziente, trovare ciò che crea problemi al paziente e quindi spingere il paziente stesso ad affrontarlo e accettarlo - talvolta modificarlo. L'intero processo avviene con il solo scopo di aiutare il paziente a liberarsi di una fastidiosa, dolorosa o altrimenti problematica percezione di se stesso - o della realtà. La motivazione che muove il terapeuta è basilarmente di avere in cambio del danaro, e probabilmente anche una certa soddisfazione personale nel proprio lavoro.In una esperienza di MF nel BDSM, il Dom può venire descritto nello stesso modo: una persona con la testa piena di strumenti affilati. Ma il Dom non vuole soldi, e non sta per usare questi strumenti per aiutare il sub. Sta invece per scavare nella mente del sub per trovare i punti più delicati e sensibili da carezzare, frustare, baciare o mordere.Ma aldilà di queste similitudini, il BDSM è (o almeno dovrebbe essere) una relazione scelta da persone equilibrate, mentre la Psicoterapia è un trattamento curativo per persone che hanno problemi mentali significativi. Non si tratta di una piccola distinzione. Molte persone tendono ad utilizzare il BDSM come una sorta di terapia antistress. Considero questo utilizzo del BDSM talvolta pericoloso e per nulla sano. Approcciare il MF come un metodo per sanare il livello di stress è come farsi frustare per riattivare la circolazione. I problemi hanno i loro spazi, il rapporto BDSM è fin troppo delicato per venire appesantito da questo genere di finalità.
- IPNOIPNO in giro per il web i cosiddetti "hypno Dominants", Dom di entrambi i sessi che reclamizzano le proprie capacità di spezzare totalmente mente e volontà dei propri sottomessi. Una persona seria in ambito BDSM non si sognerebbe mai di vantare simili capacità. Può parere un sogno di sottomissione completa e assai eccitante l'idea di venire privati della propria personalità, ma una volta che avvenisse potrebbe essere un po' troppo tardi per capire fin dove si può arrivare. Molti di questi tremendi illusionisti stanno soltanto cercando polli da spennare, ma nei processi che attuano possono anche procurare seri danni. In ogni caso, l'ipnosi è soltanto una della molte tecniche (e secondo quasi tutti gli studi in merito una delle meno efficaci) per prendere controllo della mente delle altre per
- sone. L'ipnotismo e la sua celebrazione come attrezzo BDSM suona molto più una réclame commerciale piuttosto che uno strumento per una Sana, Sicura e Consensuale esplorazione percettiva. CONCLUSIONI Un ultimo appunto va portato riguardo agli aspetti di "recupero". Ogni disciplina invasiva nel BDSM richiede un adeguato impiego di tempi e metodi di "depressurizzazione" nei quali affetto e dolcezza sono spesso essenziali per uscire da esperienze anche molto intense senza cicatrici. Il MF segue la medesima regola, ed è fortemente raccomandato di dedicare molta attenzione al recupero e al rilassamento dopo una sessione - specialmente quando il sub è ancora inesperto o il gioco sia stato portato molto oltre. Il fatto che la mente non possa sanguinare non significa che non possa essere ferita, e proprio perché non ci sono segnali di pericolo così facili da individuare e durante il processo il sottomesso può trovarsi in uno stato di confusione tale da non comprendere e stimare correttamente il livello di pressione che sta subendo, una sensibilità assai elevata è la chiave per rendere una esperienza di MF piacevole e intensa senza danni.La questione è in realtà assai più complessa e nasconde molti altri aspetti affascinanti che non mi è possibile trattare qui in maniera esaustiva. Seguiranno altri articoli in futuro, per adesso spero di avere fornito al lettore un quadro generale della profondità e della delicatezza di questo particolare approccio al BDSM. (Stefano Re – 2003)
- Della scena BDSM (Stefano Re 2013) SOCIALE, PRIVATO E VIE DI MEZZO Quella che chiamiamo “vita sociale” è una condizione che svolge due differenti ruoli. Da un lato risponde a necessità interiori degli individui, essenzialmente legate al riconoscersi reciprocamente status e caratteristiche, dall’altro svolge un compito di “oliatura” tra le persone funzionale al vivere associato. In effetti si può definire vita sociale ogni forma di aggregazione distinta da una condizione di intimità, che chiamiamo invece “vita privata”. Quindi la vita sociale è di fatto la versione “condivisibile con estranei” del nostro modo di vivere e relazionarci. Questa distinzione è ovviamente sfumata. Se da un lato appellarsi reciprocamente “birbetta” e “pasticcina mia” sono forme di relazione che riserviamo ad un partner, e “Ingegner Rossi” è invece riservato ai rapporti con estranei, esistono infinite sfumature che passano dal club dei radioamatori al gruppo di sostegno per tossicodipendenti, nelle quali il livello di intimità può variare notevolmente. La “scena BDSM” appartiene evidentemente a questo continuum di sfumature, poiché raduna persone che da un lato possono non conoscersi affatto e persino avere opinioni e visioni di se stessi e del mondo completamente inconciliabili fino a persone con cui l’intimità valica il confine del vissuto sessuale. Uno degli elementi che la rende speciale è proprio che, per sua natura, la scena BDSM raccoglie persone in base ad un interesse di tipo, appunto, erotico-sessuale. Interesse che, per ovvie ragioni, va a situarsi decisamente nella sfera dell’intimità. E’ quindi un tipo di socialità per sua natura ambigua, in cui da un lato si mantiene una distanza e dall’altro si espone un condiviso elemento di intimità. Inoltre, come le forme di socialità in generale rispondono all’esigenza degli individui di sentirsi riconosciuti e legittimati nelle loro espressioni e passioni, a maggior ragione questo ruolo assume importanza nella scena BDSM, ove per molti la passione per questo argomento non è di facile condivisione con il mondo “vanilla”. Per esser chiari, un dentista appassionato di francobolli statisticamente avrà meno difficoltà a rendere nota questa sua predilezione a parenti, amici, colleghi e persino estranei, oltre che naturalmente ad altri filatelici, rispetto ad un dentista con la passione per il pissing. Un elemento che però rende talvolta problematico l’approccio della scena BDSM risiede nel, facilmente fraintendibile, livello di legittimazione e condivisione che ciascuno desidera in essa. Pur essendo difatti un ambiente in cui l’elemento condiviso è la passione per il BDSM, sono molto variabili i livelli di questa condivisione. Altro è desiderare di bersi un aperitivo dialogando di opinioni e arte BDSM, altro è voler confidare e ascoltare dettagli intimi dei propri vissuti, altro ancora è volerli attuare in modo più o meno esplicito in pubblico. In particolare, uno degli elementi più facilmente fonte di disagi consiste nelle aspettative di condivisione dei “codici di relazione”, che possono variare e di molto. E' il dilemma della socialità BDSM - una sorta di via di mezzo tra un ambiente sociale dove non c'è intimità ma si vogliono esibire e veder rispettati dei codici relazionali che di fatto sono materia privata. CODICI PRIVATI, GIUDIZI E COMMENTI Ho in molte occasioni sottolineato come i ruoli siano per me delle funzioni di relazione e non di identità. Questo aspetto, quando calato nella “scena BDSM”, assume una rilevanza assai importante. Poniamo il caso di una coppia in cui l’uomo abbia il ruolo Dominante e la donna il ruolo sottomesso. Che tra loro adottino una serie di codici di relazione specifici, tali da rendere reale le reciproche aspirazioni è, ovviamente, sano e coerente. Ma quando si presentano in un ambiente “sociale” seppur di tipo BDSM, mostrare questi loro codici diventa inevitabilmente una esibizione di aspetti “privati”. Probabilmente nessun BDSMer resterebbe scandalizzato da uno scambio di battute del tipo: “posso andare al bagno?” “sì schiava, ma quando torni portami da bere” – ma rimane il fatto che chi tra i presenti non abbia alcun ruolo in quella relazione, o magari nemmeno conosca i due protagonisti, si trovi coinvolto, seppur come semplice spettatore, in una relazione privata, che non lo riguarda, in cui non ha alcuna voce in capitolo e che, a seconda delle sue inclinazioni e preferenze, può anche risultare sgradevole. In una situazione simile, i due protagonisti danno per implicito che i codici che loro hanno reciprocamente scelto di adottare siano necessariamente legittimati nella loro pubblica esposizione presso gli altri astanti, il che non è affatto scontato. Esibire i propri codici di comportamento “privati” infatti non solo mette i presenti in una condizione di “pubblico” ma anche, necessariamente, ne richiede l’implicita approvazione. Benché per i due protagonisti questo possa essere uno scambio giocoso e affettivo, per gli astanti può essere percepito in modi molto differenti: un simpatico siparietto, una eccitante dimostrazione, un invito a commentare, una arrogante esibizione, una assurda imposizione, una provocazione alle proprie convinzioni e via dicendo. Il punto essenziale di questa dinamica è che l’esposizione di un codice relazionale costringe chi vi assiste ad una scelta obbligata: tacere e implicitamente legittimare oppure esporre critiche che vanno a “giudicare” la relazione esposta. Va da sé che se il giudizio è negativo ne risulti un disagio, ma persino quando sia positivo l’intera operazione rimane sottilmente iniqua: da un lato un commento positivo può essere percepito come invadente, dall’altro come inadeguato. Simili situazioni non mancano ovviamente anche al di fuori della scena BDSM: si pensi semplicemente ad una situazione sociale qualsiasi in cui una coppia si presenti con lo la donna col burka e un’altra coppia con la donna in minigonna ascellare e tacchi di venti centimetri. In particolare nella scena BDSM però, situazioni simili sono vulnerabili in modo più intenso. Questo perché chi espone dei propri codici di relazione privati di fatto li espone al giudizio e quindi al commento – giudizio e commento che non trattano di essi in astratto, come materia di discussione teorica, ma nella loro concreta attuazione, nel loro vissuto. Ne consegue che un commento di disapprovazione al dialogo dell’esempio immaginario citato poco sopra non è solo una critica a un “possibile tipo di rapporto” ma direttamente alle persone che lo hanno esibito. Di qui l’ovvio risentimento e le reciproche accuse di “voler giudicare gli altri” e di “voler fare gli esibizionisti”. IDENTITA’, RUOLO E SOCIALITA’ Ecco in che punto le conseguenze pragmatiche dell’assumere un ruolo come identità e non come funzione di relazione possono diventare spiacevoli. Se difatti i due protagonisti di cui sopra sono ben coscienti che i rispettivi ruoli Padrone/schiava sono esclusivamente relazionali, e hanno valore esclusivamente tra di loro, ecco che esibirli in pubblico diventa un “proporre uno spaccato di cazzi loro”, il che può essere ovviamente intrigante ma può comportare anche conseguenze spiacevoli che vanno messe in conto. Essere consapevoli della natura esclusivamente relazionale del ruolo scioglie dagli eventuali feedback di risposta le identità dei due: l’uomo non sentirà messa in discussione la sua identità di Dominante, perché non è una identità che coinvolge i presenti ma solo la sua partner, e così la donna non sentirà messa in discussione la sua identità di sottomessa, perché non è una identità che coinvolge i presenti ma solo il suo partner. Il che del resto è assolutamente corretto, visto che l’uomo in questione e la donna in questione sono “dominante” e “sottomessa” SOLO relazionalmente, tra di loro, NON nei confronti degli altri presenti. Che poi un commento sul “proporre uno spaccato di cazzi loro” possa essere spiacevole, beh, questo va messo in conto ogni volta che si decide di fare esibizione di codici privati di relazione, che siano bacetti o appellativi intimi o frustate: è fisiologicamente parte del vivere sociale. Ovviamente, ci sono scenari selettivi in cui esporre propri codici relazionali privati è non solo legittimo ma anche appropriato: così come in un club di appassionati di divise storiche nessuno si offende per una divisa delle SS, in un raduno di appassionati del FemDom nessuno troverà offensivo che una coppia si presenti con il maschio tenuto al guinzaglio. Ma si parla appunto di scene sociali selettive e specifiche, che non è affatto corretto allargare tout-court alla scena BDSM nel suo complesso. Per ottenere questa miscela in modo misurato il metodo migliore è trovarsi con un gruppo di amici che ci conoscono e apprezzano (dunque legittimano) quei "codici", appunto, privati. E diventa anche superfluo farlo in un posto pubblico: un salotto o un giardino vanno benissimo. ESIBIRE O DISCUTERE L’esposizione di codici di relazione “privati” non va peraltro confusa con la trattazione di quegli stessi codici. Un conto è dialogare di come si trova più o meno interessante o piacevole vivere una relazione BDSM, un altro è esporne le risultanze – in modo più o meno palese. Il primo approccio è ovviamente aperto ad una condizione paritaria per chiunque sia presente: tutti possono dire la loro opinione su un piano di parità. Il secondo approccio è invece ostentante e – come ho specificato – forza una implicita legittimazione a tutti i presenti senza che abbiano voce in capitolo. Personalmente ritengo che l’approccio del dialogo sia appropriato in ambienti sociali BDSM frequentati da sconosciuti, che potrebbero legittimamente non riconoscere, non legittimare e non condividere degli specifici codici di relazione. L’esibizione più o meno palese di questi codici ha invece senso in ambienti più selettivi. Chi frequenti da qualche tempo la scena BDSM, in Italia e nel mondo, saprà indubbiamente che dove i numeri sono maggiori anche gli ambienti specifici diventano più numerosi. Dove invece non siano in molti a partecipare alla “scena”, è ovvio che diventi più complicato trovare gruppi e ambienti dedicati a questo o quello specifico ambito del BDSM. Come risultato le scene meno “popolose”, per funzionare in modo accettabile, devono giocoforza esprimere ambienti meno pretenziosi, in cui si raggruppano estranei dai gusti e dalle predilezioni anche molto diverse o addirittura incompatibili. Per questo motivo, sarebbe buona norma che in ambienti così eterogenei si evitassero esibizioni di codici privati, tenendoli in serbo per gruppi più selettivi e dedicando più attenzione al discutere questi argomenti, invece di volerli incarnare e basta. Peccato che la confusione diffusa tra ruolo e identità e la comunque intrigante voglia di esibire i propri vissuti spesso offuschino l’opportunità di scelte più oculate. Del resto, siamo esseri umani, no?
- parole di POTERE Stefano Re - 2003 La SafeWord e il controllo del gioco: che cos'è, come si usa, che effetto ha. Le ragioni di chi ne sostiene la necessità e quelle di chi la considera inutile se non dannosa. Tutti i segreti delle parole magiche che controllano il gioco BDSM. La Parola Magica In qualsiasi favola che si rispetti, prima o dopo compare un mago, una fattucchiera o una strega capaci di produrre fenomeni inspiegabili con il semplice pronunciare di una parola o agitare di una bacchetta. Se di bacchette nel BDSM se ne agitano parecchie, e di norma finiscono fischiando sulle chiappe di qualche sub, anche le parole magiche sono tutt'altro che fuoriluogo. Esattamente come nelle favole, la parola magica, per così dire, suprema del BDSM è definita "SafeWord", parola di sicurezza. La SafeWord è effettivamente una parola dal grande potere, poiché di fatto trasforma i rospi in principi e principesse, toglie ai maghi cattivi l'uso delle bacchette ed ai sovrani crudeli ogni potere sulle loro vittime. Fuor di metafora, la SafeWord controlla il gioco, ovvero ferma o limita la prosecuzione delle attività in atto. A che serve questo potere? Chi lo usa e perché? Vi sono molte interessanti osservazioni sull'uso della SafeWord e del suo significato. Osservazioni che possono anche farci riflettere e comprendere meglio la stessa natura della relazione BDSM e dei differenti modi di viverla. Vedremo in questo articolo alcuni possibili utilizzi della SafeWord e qualche relativo spunto di riflessione. 1. L'ABC della SafeWord Anzitutto vediamo che cosa è una SafeWord nel concreto. Se due persone desiderano giocare, ad esempio, ad un torneo di carte, pongono di norma alcuni ben precisi limiti alla durata del gioco. Limiti che possono consistere ad esempio nel raggiungere un dato punteggio, o allo scadere di un limite preciso di tempo. Può però accadere che uno o più giocatori debba, per ragioni impreviste, interrompere il gioco, momentaneamente o del tutto. Ciò può avvenire ad esempio perché deve andare ad orinare, o perché gli squilla il telefonino, o perché si ricorda di aver lasciato il gas acceso nella propria abitazione. In questo caso, di norma, il soggetto annuncerà la propria necessità di lasciare il gioco o affiderà al proprio comportamento (alzarsi e correre via) il messaggio sulle proprie intenzioni. Certo se la partita è una amichevole tra amici al bar o la semifinale di un torneo internazionale le modalità e le conseguenze di tale comportamento saranno differenti. Ma questo comportamento risulta comunque di semplice attuazione, anche se può provocare disagi e malumori, solo finché il "tipo" di gioco permette i cosiddetti "canali di comunicazione alternativi". Poniamoci ad esempio nella situazione in cui i giocatori di carte siano legati ed imbavagliati alla sedia, ed ogni loro mugolio o roteare degli occhi sia interpretato come un segnale "interno" al gioco: come potrà il giocatore avvertire di voler lasciare la partita? La risposta, ovviamente, è che occorre decidere prima un segnale specifico che indichi questa possibilità, in caso contrario sarà semplicemente impossibile. 2. GIOCHI senza USCITA Esistono giochi che non contemplano canali di comunicazione alternativi. Se due persone si accordano sul fatto che da un dato momento in poi ogni cosa che diranno l'uno all'altro significa esattamente l'opposto di ciò che desiderano dire, e senza altri accordi inizino questo gioco, non potranno più in nessun modo uscirne da soli. Se anche uno dicesse all'altro: "non smettiamo subito!" e si sentisse replicare "Non sono d'accordo, non smettiamo da subito", la frase successiva continuerebbe ad essere impossibile da decifrare con sicurezza. "Abbiamo smesso ora?" potrebbe sempre significare "Non abbiamo ancora smesso?" Qualsiasi "Si" potrebbe significare "No". Qualsiasi tentativo di comunicare all'altro che il gioco è finito, quindi, potrebbe essere interpretato come una prosecuzione dello stesso. Unico modo per uscire da questo empasse è di coinvolgere un terzo elemento e affidare a lui il messaggio da portare all'altra persona. Solo tramite questo "traduttore" i due giocatori potranno assicurarsi di aver smesso di giocare. Il BDSM è appunto una situazione di gioco che non contempla canali di comunicazione alternativi. Al contrario essa permea l'insieme della realtà e della identità stessa dei partecipanti, che nel vissuto ricercano proprio la completa adesione del ruolo alla loro realtà. Ma se la realtà è quella di essere, ad esempio, un insaccato completamente immobilizzato come un salame, diverrà assai complicato indicare di voler lasciare il gioco! Certo, potrebbe sempre dire: "basta, basta, desidero essere liberato/a" ma per molti arrivare al punto di dire questa frase con tono sinceramente disperato è esattamente l'obiettivo del gioco intero. E ciò che desiderano e insieme temono profondamente di sentirsi rispondere è "no, resti lì e subisci ancora". Eppure può accadere che essi si trovino nella necessità di manifestare un disagio che travalica il gioco e ne richiede l'immediata interruzione. Come avvertire il Dom che una richiesta di pietà è "prioritaria" mentre l'altra può essere ignorata? Decidere una parola magica, che se pronunciata interrompe la prosecuzione dell'azione, è un metodo efficace per uscire dal gioco. 3. la SW come garanzia estrema Uno degli usi principali e più diffusi della SafeWord riguarda la possibilità del sub di fermare una sessione in cui avverta il rischio di venire ferito in modo serio. È evidente che questo uso si configura come condizione di "emergenza", e presuppone una certa mancanza di fiducia verso le capacità del Dom di impedire che si verifichi un danno. Ci risulta sinceramente complesso immaginare come una persona possa accettare di porsi nella mani di un Dom di cui non abbia fiducia, per poi assicurarsi un "paracadute" legato al pronunciare una data parola. Eppure la frequenza con cui la SafeWord viene utilizzata in questo modo sembra indicare che si tratti di una scelta piuttosto comune. In questo genere di caso trova collocazione l'uso della SafeWord nel cosiddetto "gioco pubblico", ovvero il gioco BDSM messo in atto a fini dimostrativi o esibizionistici nel corso di una festa o altro ritrovo BDSM, sovente in pubblico e con partner di cui si ha poca o nulla conoscenza. Benché si tratti di comportamenti assai diffusi, anche su di essi proponiamo una seria riflessione su quanto "adulto" possa considerarsi inscenare simili situazioni di "fittizia" condivisione di intimità e dignità, con persone sconosciute. Ad ogni modo, in questi contesti la SafeWord viene sovente utilizzata come forma di "garanzia" del sub. 4. la SW come difesa del limite Un uso possibile della SafeWord riguarda la possibilità di fermare la prosecuzione di una sessione quando il sub si senta forzato troppo verso i propri limiti. Di fatto, l'uso della SafeWord è un messaggio piuttosto sconfortante di sfiducia nei riguardi del Dom. La sua immediata traduzione è difatti: "attenzione, stai esagerando". Se un Dom non si accorge di aver condotto il sub troppo vicino ai suoi limiti, o se un sub sente la necessità di avvertire il Dom che "non ci sta' più", è evidente che qualcosa non funziona per il verso giusto. Dove la safeWord diventi un metodo del sub per "difendere" i propri limiti, essa diventa nei fatti una dichiarazione di sfiducia verso il Dom. In questo senso essa può essere utilizzata come mezzo per "addestrare" un Dom, che potrà quindi applicarsi ad imparare a "sentire" in anticipo il sopraggiungere del limite ma potrà anche forzare per controllare se le sue sensazioni erano precise e in che misura lo erano.Ad esempio, dopo averne preso accordo esplicito, il Dom potrebbe spingere volutamente il gioco avanti fino a che il sub non usa la SW, al fine di confrontare le sue sensazioni e gli effettivi limiti di sopportazione del sub. Se quindi si configura l'uso della safeword come mezzo per "testare" l'un l'altro il terreno, essa può anche venire usata validamente. Quando invece essa venga usata normalmente come segnale del "limite" si traduce essenzialmente in una pura e semplice manifestazione di potere del sub. 5. la SW come comunicazione dello stato del gioco Un esempio classico di SafeWord è la parola "Rosso". Facile da pronunciare, difficile da fraintendere, la parola "rosso" è al tempo stesso richiamo di pericolo e completamente astrusa rispetto al gioco. Se sentire la schiava o lo schiavo lamentarsi e implorare pietà può difatti essere eccitante e condurre solo a nuovi supplizi, sentirlo dire "Rosso" svolge alla perfezione il ruolo di interrompere il gioco e calare una doccia fredda sul Dom.Di fatto, la SafeWord si pone quindi come una sorta di "commento" del gioco, una chiave che influisce sulle stesse regole, al di fuori e al di sopra del gioco stesso. Questa sua capacità meta-comunicativa la rende uno strumento dalle molteplici applicazioni, ed anche oggetto di numerose contestazioni e dibattiti nel mondo BDSM. Tra i sostenitori della SafeWord vi è chi ad esempio ha ulteriormente strutturato l'uso di questo segnale, distinguendo differenti possibili gradi di utilizzo. Un classico esempio è l'introduzione di segnali intermedi come "Verde" e "Giallo", che il sub può usare per indicare che una data situazione o forzatura gli è bene accetta o considerata al limite. Coloro che contestano l'uso della safeword, e anche molti che ne giustificano l'uso come segnale estremo, considerano però con molte perplessità questo meccanismo di continuo "feedback" contestando che di fatto esso svuota di ogni significato il potere del Dom. Altro è difatti consentire al sub di interrompere il gioco in casi estremi, altro quello di dargli le redini perché guidi ogni singolo passo del Dom definendo il suo gradimento, quasi una sorta di continua "minaccia" di usare il proprio potere e chiudere il gioco da un momento all'altro. 6. la SW come meccanismo di potere Come già accennato, la SafeWord è un potere specifico del sub, che gli fornisce la possibilità di "fermare" l'azione in qualsiasi momento. Non diversamente dal "no" femminile, che nei tribunali è diventato il punto essenziale su cui ogni causa di molestie sessuali verte, la pronuncia della SafeWord disarma il Dom, blocca la frusta, frena ogni eccitazione e scioglie ogni nodo e vincolo. È evidente come un simile potere possa essere di per sé affascinante e talvolta persino inebriante. Se teniamo presente che l'intera situazione D/s si costruisce su una tensione di potere ceduto/imposto e che di fatto molti sub vivono come una dimostrazione di forza la propria sottomissione, la gestione di una "bomba atomica" può avere un fascino tutto suo. I contestatori della SafeWord pongono sotto accusa questo potere, dichiarando che la safeWord al tempo stesso svuota del tutto il significato del power exchange ed è completamente inutile, poiché in casi "estremi" il sub trova comunque un modo di segnalare il proprio disagio, e che se un Dom ignora questi segnali allora siamo di fronte ad un irresponsabile che nessuna SW può fermare dal fare danni. A ciascuno la riflessione se e in che misura la SafeWord ponga in discussione troppo a fondo lo scambio di potere e definisca il gioco entro limiti più sicuri o al contrario ne svuoti ogni significato e piacere 7. Chi vince? Se la SW risulta essere un potere del sub, il suo uso non si traduce mai in una "vittoria". Partendo difatti dalla idea che una sessione BDSM si ponga la finalità di esplorare e gustare le emozioni dei rispettivi ruoli Dom e sub, il suo successo si identificherà con il raggiungimento della massima intensità di queste emozioni, ed il suo fallimento con l'esatto contrario. Queste emozioni toccano il loro massimo proprio quando il sub viene sospinto il più possibile vicino ai limiti che si è posto, e in taluni casi con il loro superamento. L'uso della SW, e il successivo blocco della sessione, risulta quindi in un fallimento. Un fallimento per il Dom, che non è riuscito a condurre il sub nel terreno minato dei suoi limiti ed oltre, ma anche un fallimento del sub stesso, che si ferma di fronte al realizzarsi dei propri sogni più intimi e segreti. Se difatti per il Dom è una soddisfazione condurre il sub sempre un passo più avanti, non differente è l'obiettivo del sub stesso, che nell'accettare di sopportare di più trova la propria massima gratificazione. In questi termini, l'uso della SW è sempre e comunque una sconfitta, una sconfitta della fiducia reciproca, della sensibilità reciproca e della capacità di percorrere insieme questo cammino di passione. 8. Meta-comunicazione e SW Qualche interessante osservazione può venire portata riguardo al significato meta-comunicativo della SW. Già oggetto di riflessione nei seminari sul MindFucking, la SW si dimostra difatti un esempio ottimale per renderci conto un poco meglio di che cosa avviene durante una relazione o una sessione di D/s. Riprendendo l'esempio della partita di carte che abbiamo introdotto all'inizio di questo articolo, proviamo a considerare che cosa distingua la SW da ogni altra forma di comunicazione "interna" al gioco. Poniamoci ad esempio nella situazione di chi, durante una partita a carte, desideri (o peggio abbia necessità) di richiedere un cambiamento delle regole del gioco stesso ma non possa farlo se non utilizzando le carte ed il modo in cui gioca. Risulterà subito evidente che senza poter avvertire gli altri di che cosa sta facendo, i suoi atti saranno immediatamente interpretati come gesti senza senso, quindi folli, o stupidi, e comunque incomprensibili. Questa è precisamente la condizione che si sviluppa all'interno di una relazione schizofrenica. Ma senza andare ad esempi estremi, è la condizione usuale in cui si trovano spesso le coppie, o anche sovente nella interazione tra genitori e figli. Poniamo il caso di un figlio che desideri indossare l'orecchino, cosa che la madre recepisce come una cosa vergognosa. Per il figlio l'orecchino è in questo esempio un simbolo di identità, che nulla a che fare con la relazione con la madre. Per quanto il figlio possa cercare di esprimere il cambiamento che desidera porre in atto, per la madre quel comportamento resterà una forma di "aggressione emotiva" nei suoi confronti - un modo di mettere in discussione la propria autorità materna e persino la relazione affettiva che li lega. È evidente che nessuna spiegazione o richiesta potrà modificare questa percezione, poiché esse cadranno sempre e comunque all'interno della medesima relazione. Ciò che il figlio vorrebbe ma non può fare è cambiare le regole di quella interazione. Ora, immaginiamo che esista una SafeWord che improvvisamente faccia uscire madre e figlio dalla loro relazione, rendendoli ad esempio due persone differenti, che osservano la situazione "madre-figlio" dal di fuori. In questa condizione, sarà assolutamente semplice spiegare l'uno all'altro il differente significato dell'orecchino. Cosa che però, all'interno della relazione madre-figlio risultava impossibile. Questo è ciò che la SafeWord fa nel gioco BDSM. Essa permette di uscire da una condizione di relazione e di affrontare la definizione stessa delle regole di quella relazione, di osservarne ad esempio i problemi, le incomprensioni, le aspettative differenti, e via dicendo. In questi termini, la SW risulta ben di più che un segnale di pericolo o di sfiducia, bensì un mezzo assai profondo tramite cui conoscere meglio noi stessi e gli altri. 9. Consigli e difetti delle SafeWord Concludiamo questo breve e necessariamente semplificato escursus nei diversi aspetti della SW con alcune osservazioni pratiche. Per chi desideri utilizzare una SW, risulterà importante mettere in chiaro che funzione essa debba svolgere e porsi con attenzione alla ricerca di quella più adatta allo scopo. Sono ad esempio da evitare tutte le SW che possano venire confuse con espressioni del gioco stesso, parole come "no", "basta", "pietà" o via dicendo. Anche da evitare sono parole di difficile memorizzazione, che nel momento di un reale e impellente disagio possano assolutamente sfuggire di mente. È buona norma per chi desidera usare la SW di provare a pronunciarla prima, per avere un precedente mnemonico cui fare riferimento e dare al Dom una idea di come suonerebbe il segnale anche durante il gioco. Che altro? Beh, se decidete di usare una password verbale, potrebbe non essere una buona idea imbavagliare il sub... Stefano Re - 2003
- Maela Maggiolini
Mindfucking nel BDSM (Stefano Re – 2003) Si dice che una penna faccia più male di una spada. Talvolta una parola fa più male di una frustata. Dai programmi di riforma del pensiero di tipo religioso o ideologico agli interrogatori di polizia, passando per le teorie di Pavlov: ecco il Mindfucking nel BDSM CHE COSA NON È È piuttosto importante muoversi anzitutto dicendo che cosa il Mindfucking non sia. La mente umana è in gran parte un mistero, tanto nei suoi meccanismi biologici quanto nel suo funzionamento. Non sappiamo perché ci piacciano alcune cose piuttosto che altre, non sappiamo perché alcune persone condividano emozioni simili e altre abbiano reazioni tanto differenti di fronte alle stesse situazioni. Ma la psicologia e la fisiologia hanno spiegato COME il cervello gestisca questi processi, e ci hanno posto in condizione di condurre, modificare e influenzare queste reazioni ed emozioni. Questo "potere" è stato utilizzato per finalità moralmente discutibili. È stato usato per "trattare" la dissidenza politica nei paesi totalitari come l'Unione Sovietica o la Cina Comunista; è stato utilizzato insieme alla tortura per estorcere informazioni ai prigionieri da governi come il Cile o la Cambogia; tecniche di questo tipo sono utilizzate dalle forze di polizia e in particolare dall'FBI americana per ottenere confessioni dai criminali. È utilizzato dai servizi segreti di ogni nazione per addestrare i propri agenti a compiti specifici, per proteggere informazioni vitali e per ottenerne dagli agenti avversari; è utilizzato per fini pubblicitari, per spingere le persone a comperare specifici beni, come nei messaggi subliminali e in più quotidiane forme di condizionamento tramite i mass media; è utilizzato per l'indottrinamento di culti e religioni grandi e piccole; è utilizzato per suggerire o diffondere nell'opinione pubblica sentimenti di favore o avversione verso specifici soggetti politici, ideologie o nazioni. Tutti questi utilizzi e molti altri sono stati raffinati nel corso degli anni e vengono correntemente utilizzati in moltissime aree del pianeta, incluse quelle più democratiche e progredite. Tutto questo però esula dal Mindfucking quale viene qui trattato, poiché in questa sede si parla di un gioco di sessualità alternativa adulto e consensuale, le cui dinamiche e finalità verranno qui di seguito specificate. COME FUNZIONA IL MINDFUCKING Tutti noi abbiamo elaborato una percezione di noi stessi - e del mondo attorno a noi. Queste percezioni sono basate sulle esperienze vissute e le relazioni, a partire dal rapporto con i genitori nell'infanzia e in seguito le esperienze di tipo sociale durante adolescenza e sviluppo. Infine esse si basano sulle percezioni professionali e sociali proprie dell'età adulta. Può essere spaventoso rendersi conto di quanto fragile sia l'equilibrio che tiene insieme queste percezioni, e di quanto facilmente esse possano venire manipolate, persino distrutte. Come si è detto, difatti, la scienza ha studiato tecniche specifiche per queste finalità. Che se ne sia coscienti o meno, tutti noi utilizziamo alcune di queste tecniche - o ne sperimentiamo le conseguenze ogni giorno. È la ragione per cui troviamo orribile l'aspetto di una nuova vettura lanciata sul mercato e dopo breve tempo ci appare piacevole, ed è il motivo per cui siamo travolti dall'emozione quando qualcuno calcia una sfera di cuoio in una porta: ci siamo mai chiesti perché questo gesto ci appaia così "importante" da modificare le nostre emozioni in modo così intenso? È, inoltre, la ragione per cui consideriamo un gesto adeguato oppure inappropriato in un dato contestoOra, non fraintendetemi: non credo di essere Morpheus nel film Matrix né Tyler Durden in Fight Club, e non sto per offrirvi una pillola rossa per svegliarvi. Sto soltanto per spiegarvi come il Mindfucking possa essere una intensa e piacevole esperienza BDSM, e questa introduzione serviva soltanto per chiarire il contesto generale. Ogni ulteriore considerazione sulla nostra "libertà" mentale quotidiana e sulla realtà in sé stessa rimane vostro. CHE COSA È IL MINDFUCKING NEL BDSM Nel mondo BDSM, le tecniche di cui abbiamo discusso possono venire raggruppate con il termine "Mindfucking", che letteralmente significa "fottere la mente".In questo ambito, peraltro, queste strategie assumono una prospettiva fondamentalmente diversa. Ad esempio, nell'osservare una scena di tipo BDSM, l'immediata percezione può essere di violenza o abuso. Osservando con maggiore attenzione diventa chiaro che la prima impressione era errata, e che il BDSM sia una esperienza di piacere, rispetto, evoluzione e esplorazione. E questo termine definisce al meglio ciò che il Mindfucking vuole essere nel BDSM: una esplorazione. Nel corso di una sessione di MF il Dominante guida il sottomesso in un viaggio nelle sue paure, nei suoi dubbi, nelle sue debolezze e nelle sue insicurezze. Il Dominante guida il sottomesso a vivere queste esperienze, - la completa emozione di perdersi completamente. In questo processo, il sottomesso non "immaginerà" o "reciterà" scene di sottomissione ma diventerà realmente totalmente vulnerabile a livello mentale. Ecco perché è così tantoimportante avere una completa fiducia nel Dominante prima di accettare una simile esperienza. Così come è importante avere a che fare con un Dominante che sappia quello che sta facendo. MF E RIFORMA DEL PENSIERO Ci sono dozzine di studi che approfondiscono le forme del "controllo mentale". Tra esse ho scelto questi punti in cui la dottoressa M.T. Singer definisce le condizioni perché sia in atto un processo di "riforma del pensiero": 1. Ottenimento di un controllo sostanziale su tempi e ragionamenti del soggetto, tipicamente tramite il controllo delle variabili fondamentali dell'ambiente in cui il soggetto si muove, 2. Riaffermando sistematicamente un senso di impotenza nel soggetto, 3. Gestendo un sistema di punizioni e ricompense finalizzato a promuovere o imparare una nuova ideologia o un sistema di pensiero, 4. Gestendo un sistema di punizioni e ricompense finalizzato a inibire la manifestazione di dissenso o di comportamenti che riflettano valori e routine della vita "precedente" all'entrata nel gruppo, 5. Mantenendo un sistema chiuso e una struttura autoritaria nell'organizzazione, 6. Mantenendo il soggetto in condizioni di non consapevolezza di ciò che sta accadendo. Potremmo quindi parlare di MF nel BDSM come un processo di riforma del pensiero volontario, ridotto nei suoi effetti in quanto il sottomesso decide di sperimentarne le condizioni in piena coscienza di che cosa si tratti, nella forma di una "esperienza esplorativa" di se stesso e dei propri meccanismi e limiti. UN ESEMPIO Per fornire una piccola dimostrazione pratica di che cosa il MF possa essere nel BDSM, ecco un esempio semplice: prendiamo un dialogo tra un uomo Dominante e una donna sottomessa. Il Dom dirà alla sub: "Voglio che tu mi disubbidisca ora." È immediatamente chiaro che la sub non potrà obbedire all'ordine senza disobbedirlo, e viceversa vi obbedirà se (e soltanto se) vi disobbedirà. È la classica "posizione insostenibile" provocata da una ingiunzione paradossale - ovvero un ordine che nega sé stesso. La sub dell'esempio non potrà in nessun modo obbedire NE' disobbedire. Si ritrova intrappolata in una condizione che squalifica ogni suo tentativo - e di conseguenza la stessa percezione di se stessa. Se questo passaggio risulta poco chiaro basti pensare che all'ordine paradossale venga aggiunta la condizione: "Se vuoi restare mia schiava, disubbidiscimi immediatamente. Se fallisci ti abbandonerò." Risulta chiaro che in gioco non c'è solo un comportamento, ma la stessa definizione di se stessi (la sub che desidera sentirsi "schiava ubbidiente" ma NON PUÒ"). Secondo le leggi della pragmatica della comunicazione, vi è un solo modo per uscire da questa situazione, e sarebbe la possibilità di "commentare" l'ordine impossibile, spiegando al Dom perché non sia possibile obbedirvi o disobbedirvi. Ma questa reazione può avere significato solo quando la condizione sia prodotta da un errore. Quando il Dom è perfettamente al corrente degli effetti del suo ordine non le premetterà di uscirne così facilmente: gli basterà mettersi a ridere alle spiegazioni o mostrarsi seccato e accusare la sub di non essere in grado di obbedire ad un ordine così semplice, ignorando o reprimendo ogni protesta.Ciò che è interessante è il tipo di effetti che simili situazioni generino nella mente delle persone. Come già Pavlov notava negli anni '30, venire posti e trattenuti in una condizione impossibile provoca l'insorgere di sintomi di nevrosi indotta, la così detta "nevrosi sperimentale".È un problema della mente: non possiamo accettare di restare esposti a condizioni impossibili di questo genere. Venire trattenuti in questo stato mentale causa un insieme di reazioni tanto consce quanto inconsapevoli. MF E RELAZIONE DS Dunque il MF, non diversamente da una tipica relazione di tipo D/s (Dominazione sottomissione) si differenzia da un programma di riforma del pensiero così come descritto dalla Dott.ssa Singer essenzialmente nei punti 3. e 6. A proposito di "promuovere o imparare una nuova ideologia o un sistema di pensiero" il MF in ambito BDSM non sostiene né promuove alcun sistema di pensiero politico o ideologico, né provoca modificazioni stabili. Si tratta di una esplorazione temporanea di stati di disperazione mentale indotta. Proprio su questo punto risultano controversi alcuni aspetti della cosiddetta "relazione D/s" in cui questi processi di "addestramento" vengono reiterati nel tempo con la finalità di rimodellare la percezione di se stesso o della realtà nel soggetto sottomesso. In questi processi il concetto di consensualità tende, ovviamente, a sfumare fino a perdere ogni significato. Anziché condurre il sub a credere qualcosa di differente, il MF si limita a procurare un intenso disorientamento e un intensa sensazione di disperazione correlata a questo stato mentale.Una volta che il sub è completamente informato di questi meccanismi e desidera ugualmente sperimentare questo processo, resta il problema di definire fino a che punto sia sostenibile condurre il gioco. Talvolta la completa identificazione nel "ruolo" serve al soggetto per "nascondersi" dalla propria vita, dalle proprie opinioni, dai propri dubbi e in genere dalle proprie responsabilità. In questa ottica il MF nel BDSM diventa un rifugio dalla propria vita - il che lo porta ad avvicinarsi pericolosamente ad un tipo di psicoterapia - un modello che non ritengo debba applicarsi al BDSM per le ragioni che spiegherò in uno dei prossimi paragrafi. I RISCHI - BLOCCO DI RIFIUTO Potenzialmente, il MF può essere molto pericoloso. Ogni attività umana, persino la più semplice, include dei rischi. Nel BDSM si decide di esplorare un ampio spettro di intense e anche dolorose esperienze, e se in molte pratiche è annunciato un forte stress fisico, nel MF è implicato un intenso e persino insostenibile stress mentale. I danni che una esperienza di MF può generare non sono molto comuni, ma possono avvenire. Uno dei più immediati tra essi non è provocato da "errori" ma semplicemente dal fatto che il sottomesso può non accettare questa esperienza. Se anche vi si fosse avviato in piena volontà, può però scoprire di non essere in grado di sostenerla - e quando questa consapevolezza si affaccia sovente è troppo tardi per evitarne le conseguenze. In breve, quando succede, il sottomesso non riesce più a "giocare" con il Dominante che gli ha praticato MF. Troverà impossibile sottomettersi nuovamente a lui, e non c'è nulla da fare in merito. Si tratta di una sorta di difesa automatica della mente. Ricordiamoci che Mindfucking significa "violentare la mente". Molte volte il sub accetterà questa esperienza e ne uscirà con maggiori consapevolezza di se stesso e persino rafforzato. Talvolta, anche se raramente, la sua mente rifiuterà totalmente l'esperienza di totale debolezza e vulnerabilità subita e allo stesso modo rifiuterà inconsciamente di trovarsi nuovamente in simili condizioni. In altre parole, l'emergere di un blocco di rifiuto nel corso di una esperienza di MF può portare una relazione alla sua fine. I RISCHI - DANNI MENTALI Molti altri rischi sono possibili se il Dom non è dotato di adeguata sensibilità per accorgersi fin dove si sia spinta la situazione. Ancora una volta: quando una sessione di MF viene fatta ad arte, il sub è realmente e totalmente vulnerabile. Il nostro ordine mentale è basato su alcuni schemi. Se rompiamo questi schemi, non è sempre così facile rimetterli insieme. Non sono in possesso di fonti affidabili sugli incidenti nel corso di esperienze di MF, ma vi sono molti dati sulle conseguenze di altri usi di forme di pressione mentale, riforma del pensiero e lavaggio del cervello. La conseguenza negativa più comune è l'attacco d'ansia, accompagnato da problemi respiratori, talvolta crisi d'asma o iperventilazione che possono portare a svenimenti. Altre gravi reazioni riportare quali conseguenze di tecniche di persuasione coercitiva sono: forme di psicosi reattive temporanee (specie nella sfera affettiva) in particolare a carico di soggetti le cui famiglie mostrino anamnesi di disordini affettivi; Disordini Postraumatici da Stress (309.89 del DMS III-R); Disordini Dissociativi Atipici (300.15 del DMS III-R) o Stati d'Ansia da rilassamento indotto. Questi sintomi gravi sono tutti riportati solo come conseguenza di trattamenti PROLUNGATI di condizionamento mentale. Non vi sono dati relativi a gravi conseguenze mentali in seguito a esperienze di MF nel BDSM, e va considerato che in questa particolare esperienza il soggetto sottomesso è volontario e informato del processo, il che riduce sostanzialmente gli elementi di danno propri del processo. In ogni caso, questi dati siano di monito per chiunque desideri esplorare questo campo: fatelo con estrema cautela.