domenica 7 gennaio 2018

SUI RUOLI


Nella scena BDSM ricorrono invariabilmente alcuni temi assai discussi. Uno tra essi riguarda i limiti, ovvero cosa si possa far rientrare nel gioco e cosa no, tanto in termini di intensità quanto di preciso scenario/situazione/disciplina. Ancora, non è raro trovare discussioni su cosa renda “vero” o “finto” un rapporto di dominazione, con infinite controversia sull’essere un “vero” Dom o sub.Queste e molte simili discussioni nascono, a mio parere, da un basilare quanto comune fraintendimento sulla natura stessa di un rapporto BDSM. Natura che è essenzialmente proiettiva e relazionale. Ciò che origina incomprensioni è dunque il considerare, in buona o cattiva fede, la natura di una relazione BDSM quale reale e identitaria.Prima che si alzino grida furenti al tono di “vorresti dire che il mio rapporto BDSM non è vero? O che io non ho una identità Dominante?” mi affretto a precisare che i termini reale e identitario vanno considerati in relazione e opposizione aproiettivo e relazionale, e non di per sé. Forse questo non è chiaro per ora, ma andiamo per gradi, ci si arriverà.

PERCHE’ IL BDSM è UN VISSUTO PROIETTIVO E NON REALE
Il BDSM è uno scenario immaginifico in cui si "rubano" schemi di relazione da altri e completamente differenti contesti per farne un uso erotico-esplorativo. Fatto sta che gli schemi che permettono queste esperienze sono, per definizione, in violazione dei diritti umani (la schiavitù e i suoi simboli), delle forme di relazione socialmente codificate (abusi e violenze emotive, poliamoria, cuckoldismo), delle dignità generiche e specifiche degli individui e dei generi (violenze sessuali, riduzione a ruolo di animale, umiliazioni di genere), delle forme di deontologia e professionalità di ogni genere, (uso invasivo e volutamente doloroso o fastidioso o umiliante di strumentazione medica, ad esempio), e ovviamente l'elenco potrebbe andare avanti all'infinito.Tutti gli scenari da cui traiamo le ispirazioni per i nostri momenti erotici kinky sono, in un modo o in un altro, violazioni di qualche regola di decoro, buonsenso, vivere civile, etc. Il fatto che ce lo permettiamo in ambito BDSM è una sorta di licenza esplorativa, in cui cerchiamo di vivere le emozioni relative alla violazione senza tutto il bagaglio accessorio che nelle sue forme originali comporta.
Forse che sia una bella esperienza venire violentati? O essere umiliati in modo costante e quotidiano dal proprio partner? O subire esami medici inutili e dolorosi? O venire frustati, legati e imbavagliati? La malasanità non è certo una cosa arrapante, ma chi pratica medical non sta violando la dignità o la salute del sub cui infila aghi dappertutto o impone un clistere, o una dilatazione inutile e dolorosa.Certo che sono situazioni dolorose e inaccettabili di per sé, nelle loro forme originarie. Le ricreiamo proprio perché ci arrapa viverne questo “dolore” imponendolo o subendolo, in forma simbolica.
Prendiamo un esempio molto pericoloso: la pedofilia. Siamo tutti d’accordo (spero) che non solo è un reato, ma che in generale fare sesso con un bambino sia un atto grave, che viola la fiducia di un innocente e rischia di segnarlo a vita a livello psicologico, oltre a qualsiasi danno fisico. Ma quel che si chiama ageplay? Quando un adulto si veste da bambino e un altro adulto gliene combina di ogni, non si sta forse simulando la pedofilia? Questo vuol dire che chi lo pratica e ne è eccitato è un coglione o un criminale? Forse un pedofilo in erba che attende il suo turno per scatenarsi sui bimbi del vicinato?Tutto il BDSM vive di simboli per definizione “sbagliati”: noi tutti giochiamo con cose simbolicamente pericolose. Per questo chi lo pratica dovrebbe sforzarsi di avere un grande livello di onestà con se stesso, i suoi desideri e ciò che combina.In questo risiede l’essere “adulti e responsabili” nel fare BDSM.
Ci sono persone eccitate dal vivere le emozioni simboliche di una violazione di alcuni codici e altre attratte dal violare codici differenti. C'è chi si arrapa con lo scat e chi con i pannoloni, chi con le fruste e chi con divise naziste.Il motivo per cui il BDSM dovrebbe essere un luogo per soli adulti responsabili e dotati di buonsenso è proprio questo: qui si esplorano, in modo simbolico ma profondo ed efficace, i territori vietati. La capacità di dosarsi consiste nel trovare il limite per cui una scena rimane una esplorazione simbolica per quanto intensa e verosimile e non diventa una forma di violenza o abuso – che riassumiamo in modo molto generico con il termine SSC. Così si può vivere una situazione di stupro di gruppo MOLTO simile ad un vero stupro di gruppo con tutte le emozioni ad essa connesse SENZA che si stia commettendo davvero uno stupro. Allo stesso modo, c’è chi può desiderare di vivere l’emozione di violare il tabù di simboli e scenari di tipo politico o religioso. Se sa farlo senza rifondare il partito nazista o bruciare streghe sul rogo, ha la stessa valenza e non meno buon gusto di chi si eccita a simulare uno stupro o frustare un culo a sangue o giocare con la popo’. Il limite non sta certo nel dire sì alla cacca in bocca e no alla divisa da SS: sta nel saper esprimere e condividere in modo adulto e responsabile le proprie passioni fetish senza andare a giudicare quelle che arrapano gli altri.

PERCHE’ I RUOLI SONO RELAZIONALI E NON IDENTITARI
E’ ormai qualche annetto che mi trovo spesso a ripeterlo: I ruoli sono funzioni di relazione, non modelli identitari a sé stanti. Affermazione che inevitabilmente mi porta addosso strali di indignazione. Del resto è inevitabile: chi vive un ruolo BDSM come modello identitario percepisce questa affermazione come un attacco diretto, ed è naturale che vi opponga una fiera resistenza.Vediamo se mi riesce di spiegare il perché, io li ritenga tali.
Dominare, è un verbo che implica che qualcuno (o qualcosa) domini su qualcun altro (o qualcosa). Non si può “dominare e basta”, è – semplicemente – pragmaticamente privo di senso. Stessa cosa vale per sottomettersi: qualcuno si sottomette a qualcun altro. Fin qui, non penso che ci siano problemi di comprensione.Quando si entra nell’ambito BDSM però, spesso si semplifica affermando con scioltezza “io sono un/a Dom (Master/Mistress, Padrone/a, Maestro/a etc)” oppure “io sono un/a sub (slave, schiavo/a, sottomesso, kajira, etc)”. Affermazioni che, semanticamente, sono incomplete. Non si può essere un Dom senza qualcuno che si sottometta a te. Non puoi essere un sottomesso senza qualcuno che ti domini. Questa è la natura relazionale dei ruoli nella sua nudità. Quando si afferma di essere un Dom o un sub quale modello identitario, si entra in una comunicazione patologica.Vediamo come e perché succeda.
Una comunicazione inevitabilmente setta dei parametri. Che i coinvolti ne siano consapevoli o meno, che ne conoscano i meccanismi e i passaggi o li ignorino del tutto, non cambia nulla: la comunicazione comunque setta dei parametri. Dire a qualcuno “sai che ore sono” non dice solo quel che appare a livello oggetto, e cioè “vorrei che mi dicessi che ore sono”. Setta anche una moltitudine di altri e invisibili parametri, che di fatto decidono tutto: dalla realtà in cui viviamo a chi siamo. Per dare una idea molto banale, la frase citata setta tra molti altri un parametro di relazione proposto da chi fa la domanda a chi la riceve, che dice “ritengo di essere in diritto di domandarti che ore sono”. E’ il motivo per cui questa domanda la si fa ad un passante ma non la si fa al Papa, anche se ha l’orologio in bella vista e noi abbiamo urgenza di sapere che ore sono. E se la si fa al papa,si è perfettamente coscienti che non sia sta solo chiedendo che ore sono. Si sta anche dicendo: “me ne sbatto che tu sia il Papa.”
Allo stesso modo, affermare “sono un Dom” oppure “sono un sub” setta dei parametri. Il problema è che setta dei parametri assurdi. Mi limiterò a specificare dettagli molto, molto semplici come esempio. Anzitutto, questa frase afferma: “io domino”, ma non afferma chi, o cosa domino. Come dovrebbe reagire un interlocutore a questa affermazione? Ti darà una pacca sulla spalla dicendo, cavoli, complimenti!, oppure ti domanderà: ah sì? E chi o cosa, domini, di grazia? Se non si specifica chi, o cosa, e in che precise condizioni io dichiaro di dominare, allora sto affermando che io domino tutto quanto, in ogni modo e momento. Andando oltre, visto che la frase è rivolta ad un interlocutore, diventa implicito che se “io domino” l’universo tout court, allora io domino anche te. Il che è quantomeno grottesco: mi presento dicendo che ti domino, per partito preso, quando neppure mi conosci o io conosco te? Ovviamente la risposta ideale sarebbe: “perfetto, io mi sottometto” – ed è esattamente l’incontro ideale che chi frequenta ambienti BDSM sembra sognare. Peccato che, di nuovo, si stia parlando di nulla: due persone che non si conoscono non possono né dominare né sottomettersi visto che di fatto non c’è alcune forma di relazione tra di loro. Sarebbe come se due sconosciuti si presentassero dicendo: “salve, io sono un ottimo amico” e “caspita che bello, anche io sono un ottimo amico” e pretendessero, dall’istante successivo, di essere tra loro ottimi amici. Qualsiasi interazione che si basi su simili premesse è, necessariamente, un gioco di ruoli totalmente sganciato da un piano di reale interazione: i ruoli giocano da soli, in astratto. Calandosi in una realtà concreta, che so una festa di gioco BDSM tra sconosciuti, quel che risulta è una recita, o anche, dicendolo in modo meno simpatico, una farsa.
Quando però due persone si incontrano e comunicano, e comunicando dimostrano un interesse reciproco in cui uno dei due assume una posizione sottomessa e l’altro una posizione dominante, ecco che diventa reale la possibilità di costruire una relazione BDSM. Ma i ruoli non partono come modelli identitari a sé stanti: iniziano a configurarsi dal momento in cui inizia una comunicazione, e si sviluppano e realizzano passo dopo passo man mano che i coinvolti li strutturano reciprocamente. Ecco quindi come mai il ruolo esiste soloin una relazione ed anche perché, quando e dove la relazione si interrompe, quel ruolo di fatto scompare con essa.
Ecco perché il ruolo è quindi relazionale nella sua natura sia a partire dalla semantica che gli è propria fino alle sue conseguenze pragmatiche, cioè al suo divenire reale (o, in termini appropriati per chi studia metacomunicazione,esecutivo).
Per chi ancora avesse dubbi di comprensione, facciamo un esempio molto semplice. Si pensi alla parola “moglie”. Una persona non può essere “una moglie” senza essere sposata con qualcuno. Può desiderare la vita matrimoniale, o aspirarvi, può ritenere che sarebbe una ottima o pessima moglie, ma non può esserlo finché non si sposa. Quindi, anzitutto, finché è nubile non ha alcun senso che si presenti a qualcun altro dicendo: “salve, io sono una moglie”.Ma anche quando si fosse sposata, questa presentazione sarebbe di per sé assurda. Diventa sensata quando viene formulata in modo completo: “salve, sono la moglie di Pippo.”Ancora, quando e dove la donna in questione divorzi da Pippo, non avrà di nuovo senso presentarsi come “una moglie”. Potrà essere “l’ex moglie di Pippo”, o semplicemente “una donna che è stata sposata”.Si fosse sposata anche con centomila uomini diversi, comunque non avrebbe alcun senso che si presentasse come “una moglie”, ma sempre e comunque come “la moglie di Pippo, Gianni, Pinotto, Cuccuzzo, Bartolomeo…”Ciò per il semplice motivo che il termine “moglie”, come il termine “schiava/o” o come il termine “Padrona/e” sono termini relazionali e NON identitari.Questo significa forse che fare la moglie sia una finzione, o qualcosa che non possiamo considerare vero? Affatto: significa che questa funzione di relazione è valida e reale SOLO all’interno di una relazione, e non al di fuori di essa. E’ se vogliamo una espressione vera, verissima di noi che trova spazio SOLO in termini relazionali.

LE COSE BUFFE
Per chi ha avuto lo stomaco di leggere quanto scritto sopra, diventerà palese che cosa trovo tanto – ma tanto – buffo nel leggere affermazioni quali: “sono un Padrone” o “sono una schiava”, e nelle discussioni su chi sia un “vero” o un “finto” padrone/schiavo. Ancora, è tenero al limite del grottesco leggere le manifestazioni di atteggiamenti BDSM relazionali mostrati in ambiti sociali, dove chi vive in una relazione specifica un dato ruolo assume comportamenti propri di quel ruolo al di fuori della relazione data, ad esempio nel parlare con sconosciuti, o anche conoscenti con cui però quella relazione non è in atto.Per capirci, il comportamento di chi essendo in un ambiente BDSM, dà per scontato che il ruolo che vive nelle sue relazioni personali debba avere un impatto e un riconoscimento anche presso perfetti sconosciuti o persone con cui tale relazione non è in atto.
Se io ho una relazione con Ciccia e Ciccia è di comune nostro accordo la mia schiava e deve darmi del lei, questa faccenda è reale tra me e lei, per tutti gli altri esseri del pianeta non è affatto reale,è un nostro gioco in cui loro non partecipano né sono tenuti a legittimarne le regole. Per cui siamo io e lei degli arroganti se pretendiamo che le persone non si mettano a ridere, o si indignino, o ci prendano per imbecilli se giochiamo le nostre regole di relazione davanti a loro.
All’interno della scena BDSM si tende a garantire un certo rispetto per queste specifiche manifestazioni che miscelano aspetti relazionali con aspetti sociali, ma rimane una etichetta e non una garanzia di legittimità. Confondere le due cose è, quantomeno, sintomo di ingenuità.
Non a caso, una forma con cui si “gioca” su questo margine è l’ironia. Battute del tipo “sì ma io mica posso criticare il mio Padrone” o “no no, chiedi a lei, io faccio quel che vuole lei” sono simpatiche e persino intriganti quando appunto velano un tono ironico, che sottende la forzatura di una comunicazione “sociale” con delle regole relazionali “private”. Quando invece diventano affermazioni perentorie o richieste di adeguamento ad una etichetta relazionale nei confronti di chi in tale relazione non è parte in causa diventano contemporaneamente arroganti e ridicole, quanto lo sarebbe la pretesa di un bambino che, poiché gioca con un amico ad essere invisibile, pretenda di essere invisibile per chi gli sta attorno anche se non sta giocando con lui.
In soldoni, per chi vive una relazione BDSM è reale essere un Dom o un sub nella relazione e con chi in quella relazione svolge un ruolo. Fuori di essa o con chi non ne fa parte, atteggiamenti e dichiarazioni propri del ruolo sono alla meglio battute simpatiche e alla peggio forzature ridicole.


Stefano Re ©