martedì 8 marzo 2016

La sospensione del consenso 
La sospensione del consenso: un’azione collaborativa L’opinione che l’uso della safeword sia un limite per il Master è un’idea molto comune, ma porta fuori strada perché la realtà è diversa. Potremmo descrivere ciò che avviene usando la safeword, come un’azione duplice e convergente: – Lo slave protegge sé stesso da un dolore eccessivo o da un pericolo, ma questa protezione lo mantiene anche disponibile a continuare ad essere usato: sia come singolo all’interno della sua sicurezza soggettiva, sia come sottomesso appartenente al Master. È proprio il fatto che il suo segnale è stato ascoltato, a consentire allo slave di rimanere nel suo ruolo: in caso contrario, infatti, il rapporto con il Master si indebolirebbe e lo slave potrebbe sentire di non avere altra scelta che chiudere una relazione da lui ritenuta al di là della soglia di rischio. – Il Master reagisce fermando l’azione che stava facendo, e in questo modo non solo protegge e mantiene la sua proprietà, ma anche rafforza il suo dominio, perché il sottomesso ha visto alla prova dei fatti l’affdabilità del Master e la sottomissione nei suoi confronti diventa più solida. Tale duplice azione è perciò convergente perché è una collaborazione verso lo stesso obiettivo, ed è resa possibile - come tutte le collaborazioni - dalla fducia: lo slave ha fducia che il Master ascolterà il suo segnale, mentre il Master ha fducia che lo slave non userà la safeword per un nonnulla. Questa fducia bilaterale potrebbe non essere scontata, ed è perciò probabile che serva un training. Un training di graduali esplorazioni ed esperienze, di progressive espansioni dei limiti originari e soggettivi, che va nella direzione di una sicurezza sempre più concordata e sperimentata. L’uso consensuale della safeword è quindi il primo elemento della sicurezza, ma è anche un fattore che irrobustisce tutto il rapporto: - il Master è aiutato a mantenere la relazione sicura, senza per questo essere esautorato delle sue prerogative (infatti spetta pur sempre a lui la responsabilità di prendere decisioni); - mentre lo slave, dal suo canto, può abbandonarsi con fducia al Master, facendo la segnalazione solo se e quando necessario perché ha avuto la prova che egli non ha l’obiettivo di danneggiarlo e sarà sollecito in caso di eventi imprevisti. Entrambi si trovano su un piano di dialogo per risolvere i possibili inconvenienti. Ne risulta così un rapporto che si costruisce e si consolida proprio superando situazioni reali e problemi concreti, e per questo motivo si esce dai ruoli ipostatizzati nella loro astrattezza e immaginati come ostili, o indifferenti l’uno all’altro, o del tutto spersonalizzati e privi di un’evoluzione interna. Ma c’è anche un secondo elemento, altrettanto determinante per la sicurezza, e che agisce nell’identica direzione: il Master stesso. Egli infatti non è una pseudo-forza brutale, preda dell’angoscia di essere bloccato da qualche forma di limitazione. Invece, è esattamente nella natura del Master avere la priorità della sicurezza per il suo slave: egli ha l’obiettivo di costruire su di lui un dominio intelligente, che abbia uno spessore di interiorità e autorevolezza, non è il bruto di turno che fa il vuoto attorno a sé stesso. Come, dall’altra parte, nemmeno lo slave è la vittima che si è risvegliata (tardivamente?) dal suo masochismo. Tra loro due non c’è contrapposizione e nemmeno divergenza di obiettivi, ma collaborazione responsabile e concreta, e perciò il Master accoglie con riconoscenza il leale contributo che lo slave gli esprime mediante la safeword.
Franco Aletes