“Deleuze, Masoch vs McDonalds's BDSM”
Vi sono parecchi motivi per parlare di Deleuze e Von Masoch oggi, oggi che il web ha abbattuto, ma solo apparentemente, i confini dei possibili approfondimenti, impachettandoli in comodi fai da te firmati google. Ma soprattutto il sadomasochismo stesso (inteso come collezione di individui che lo praticano), quello che rappresenta, forse lontano da quello che è stato, forse lontano da quello che è, sembra sempre di più ignorare una parte fondamentale della sua storia, preferendo il consumo facile, veloce e pressappochista di un’informazione in tipico Mc Donalds’s style. E quando diciamo fondamentale intendiamo davvero fondamentale, imprescindibile, quanto è vero che la parola sadomasochismo per metà è composta dall’ismo di Masoch, ma è stata proprio questa parola ad essere messa in discussione negli anni '60 da un filosofo francese.
Facciamoci del male
Gilles Deleuze, cresciuto all’ombra delle lezioni parigine sulla fenomenologia hegeliana di Kojéve (che tanto influenzarono il pensiero surrealista ed esistenzialista di grandi autori dell'epoca, come Bataille, Klossowki, Blanchot, ecc. ), scrisse nel 1967 “il freddo e il crudele” riabilitando, per la prima volta, l’opera di Von Sacher Masoch (dopo che i suoi eccellenti "colleghi" avevano fatto altrettanto con De Sade) e con essa anche il masochismo stesso, liberando così lo scrittore galiziano dal pregiudizio di stampo psicanalitico-psichiatrico nato con Kraft Ebbing.
Nel suo saggio Deleuze individua la non specularità tra sadismo e masochismo, definendo le due “perversioni” come appartenenti ad universi totalmente diversi, anche se spesso contaminati l’uno con l’altro. Forte dell’analisi sul marchese fatta a suo tempo da Bataille, Deleuze parla del sadismo come pratica (e non dell’opera che resta opera politica o semmai teologicamente invertita) in termini di forte devianza criminale. Relegando l’esperienza sadica nello stesso recinto in cui l’aveva rinchiusa Kraft Ebbing, “il freddo e il crudele” arriva quindi a definire uno “spazio masochistico”, spazio dove si contemplano le figure del carnefice (erroneamente definito il sadico) e della vittima, quindi vittima e carnefice, entrambi, calcano il palco della scena masochistica, che poco ha a che spartire con quella del sadico. Questa differenza totalmente assimetrica non può lasciare indifferenti.
Che fare?
Chiedersi cosa sia stato il sadismo e il masochismo nella loro accezione originaria vuol dire chiedersi cos’è quello che oggi chiamiamo sadomasochismo ( secondo Deleuze non avrebbe senso questa parola), nella teoria e nella pratica. Nonostante quello che possa essere stato scritto in giro, né l’opera di de Sade, e meno ancora quella di von Masoch possono essere dette “semplici”.
Su De Sade abbiamo ormai innumerevoli scritti, le accademie hanno sfornato tesi per ogni disciplina, rivelando quanto De Sade sia lontano dalla dimensione erotica del sentimento, come ci dice anche l’ottimo articolo di Agnese Grieco che consiglio di leggere http://erewhon.ticonuno.it/arch/rivi/inferno/deleuze.htm, su Masoch la letteratura scarseggia, forse proprio per la difficoltà intrinseca di penetrare il personaggio e l’opera.
Due universi paralleli
Le differenze tra i due segnano una linea di confine molto marcata, in De Sade, come in ogni autore che prende a riferimento il male metafisico, vi è la ribellione attuata dai potenti contro la legge della società, stranezza che si spiega solamente come una sorta di “ascesi mistica, ma invertita” (P. Klossowki, “De Sade mon prochain”), quindi di nuovo la ripetizione della ribellione primordiale del primo uomo o angelo. In Masoch vi è la conferma della legge, la sottomissione alla legge, attraverso l’autorità matriarcale di rappresentanza divina fino alla stesura del contratto di schiavitù (e nell’articolo della Grieco vi è spiegato come, comunque, il fine sia quello di mettere la legge in dubbio). In De Sade vi è la ripetizione fino all’ossessione e non potrebbe essere altrimenti, i passi hanno il sapore di certi mantra d’invocazione, le torture e le infamie sono praticate senza nessun colore sentimentale, il fine è la gratuità, si punisce l’innocente, questo è il crimine supremo, il crimine che ancora non riesce a liberarsi della responsabilità, ma la inverte soltanto. Masoch scrive di rituali, di guerra, di supplizi che appartengono alla tradizione di un popolo, tutto in Masoch è legato ad una specie di nomos dall'odore quasi semitico, legato ad una terra. E vien difficile pensare che un conoscitore eccellente delle tradizioni e culture locali dell’Europa dell’est come Masoch potesse ignorare che quelle terre erano state all’alba dei tempi probabilmente percorse da antichi popoli guidati da donne, ma soprattutto che dal III secolo d.c. in avanti diventassero terre di passaggio per le eresie mediorientali, fino a quella ben nota dei bogomili che trovò il suo corrispettivo ad ovest nella setta dei catari. E ancora, De Sade nella sua ascesa invertita punta ad un caos originario, fallisce appunto nella ripetizione ossessiva dei tormenti che non riescono a portare avanti il pensiero, non li significa, perché vuole l’abolizione del referente, della trascendenza che lui sa incarnata nella legge, ma non giunge nemmeno al nulla, ripete e ripete, all’infinito. Al contrario Masoch, accettando la legge, punta alla trascendenza del tormento, significa il tormento con il volto di Mardona, come in “la madre di Dio”, e qui, ci troviamo, in entrambe le “perversioni”, di fronte al “simulacro del sacro”. Sadsong