lunedì 3 marzo 2014




I LIMITI DEL BDSM di Sir Axman
La parola "limite" è normalmente vissuta come tabù nel mondo BDSM e quando pronunciata è quasi sempre in senso dispregiativo o perlomeno negativo, perché, nel BDSM quasi mai vengono riconosciuti "limiti" e se ci sono sono da abbattere costi quel che costi.

Invece secondo me il fatto stesso che si immagini di dover "abbattere" qualcosa è il riconoscimento che una soglia esiste, e che in qualche modo si desidera superarla: se non ci fossero "limiti", se non esistessero "confini" fisici o mentali la stessa "trasgressione" non avrebbe senso di esistere, proprio perché a monte non esisterebbe la concezione del buono/cattivo, sano/insano, positivo/negativo.

Che poi questi confini siano il frutto di retaggi educativi, di condizionamenti sociali o di un proprio modo di essere è un fatto che credo secondario rispetto alla chiara realtà che nella mente di ognuno questi "limiti" sono ben presenti, accettati o subiti che siano. Ciò che cambia invece in ognuno di noi è la concezione personale di ciò che si considera "IL" confine; e a volte si incorre nell'errore di considerare il proprio confine lo standard di "normalità", cosa che invece non è uguale per tutti.

Mano a mano che ci si avvicina al proprio confine mentale aumenta la soglia di attenzione fino a che non scatta la paura, che altro non è che il meccanismo di difesa che la mente mette in atto per avvertirci che stiamo addentrandoci in una zona pericolosa che forse non saremo in grado di controllare: alcuni si bloccano prima che ciò avvenga accettando serenamente i loro limiti, altri invece, più coraggiosi, curiosi o magari solo più incoscienti, vanno oltre.

Abbattere un proprio limite è un po' come camminare su un ponte tibetano: a meno che la necessità di attraversarlo non sia questione vitale (nel qual caso l'adrenalina ci farebbe attraversare l'inferno) quando si è sulla terraferma si guarda dall'altra parte del baratro con il desiderio di raggiungere l'altra sponda, ma poi si osserva il ponte, il vuoto sottostante e si considera la fragilità di quelle assicelle che teoricamente ma non sicuramente dovrebbero reggere il nostro peso: si comincia perciò a valutare lo stato del legno e delle corde che costituiscono il ponte, la lunghezza del ponte stesso, la propria capacità atletica, il proprio peso e il proprio coraggio. Quasi sempre la decisione finale di attraversarlo o meno è dettata dal desiderio di mettersi alla prova per poi provare l'orgoglio di avercela fatta e di aver controllato e sconfitto una propria paura.

Quando una slave si affida ad un Dom il percorso educazionale è proprio come quel ponte tibetano: lei ha paura, a volte conscia a volte inconscia e Lui, come una guida tibetana, la accompagna passo passo, assicella dopo assicella, nell'attraversamento di quel ponte che rappresenta le sue paure fino a farle raggiungere l'altra sponda. Durante il percorso ci saranno momenti in cui lei cammina più sicura, altri invece in cui si bloccherà terrorizzata, ed è proprio in questi attimi che il Dom dovrà usare tutta la sua sensibilità per trovare le parole giuste per spingerla a riprendere il cammino.

Però ci sono da fare un paio di considerazioni che secondo me non sono affatto secondarie: così come è quasi impossibile che una persona che soffre di vertigini abbia il desiderio di affrontare l'attraversamento di un ponte tibetano, sarebbe d'uopo che una donna che non conosce bene sé stessa e che non sia certa dell'equilibrio del proprio centro non si imbarcasse nell'avventura di una slavery.
Altrettanto un Dom che non sia esperto, sensibile, psicologicamente equilibrato e preparato ad affrontare freddamente qualunque tipo di emergenza (che non si puo' mai prevedere prima) dovrebbe evitare di spingere la propria slave in avventure pericolose a livello psicologico, perché i danni che ne possono derivare non sempre sono controllabili, valutabili e correggibili sul breve periodo.

La D/s lavora sulla mente, e la mente è un meccanismo non ben conosciuto neppure da psicologi e psichiatri che del lavoro sulla mente ne hanno fatto il loro mestiere dopo anni di studi e preparazione: pur riconoscendo la buona fede del Dom, che Ama la sua slave e la considera la cosa piu' preziosa che possiede, non è facile neppure per lui valutare sempre con sicurezza l'impatto che certi atteggiamenti o certi ordini possono avere sulla mente della sub, ne' tantomeno le conseguenze degli stessi.

Perciò io credo che sarebbe bene per tutti riconoscere che la mente umana dei limiti li ha e che bisogna tenerne conto: meglio quindi fermarsi un attimo prima che rendersi dolorosamente conto, un attimo troppo tardi, che quei limiti si sono superati.

Questo, ovviamente quando il rapporto D/s è serio e consapevole ed il desiderio comune è di raggiungere un Oltre di Appartenenza reciproca "vero": se invece si gioca al gioco del "famolo strano" allora tutto è concesso....